Il trattamento “speciale” riservato agli sport al femminile no, non è un bene

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Fateci caso: la narrazione giornalistica per le figure femminili e per sport in rosa è sempre particolare. Le atlete sono chiamate per nome, come se ci fosse un rapporto confidenziale, se sono madri diventano automaticamente solo mamme.

Giulia Vittorioso
La tuffatrice italiana Giulia Vittorioso. Ph. Credit: gi.vittorioso IG

Il caso dei Mondiali di nuoto, lo sport femminile è bistrattato

Ai Mondiali di nuoto di Fukuoka, in Giappone, hanno fatto clamore le parole, del giornalista Lorenzo Leonarduzzi e del commentatore tecnico Massimiliano Mazzucchi. I due, in diretta tv, si sono lasciati andare a commenti a dir poco sopra le righe, sgradevoli nei confronti di atlete impegnate nei tuffi e non. Tra queste, Giulia Vittorioso, azzurra figlia d’arte (il padre è un ex pallanuotista) che non faceva nemmeno parte della Nazionale si è sentita denigrata in diretta tv. In un clima di ilarità e noncuranza hanno detto: “Le olandesi sono grosse”, “Come la nostra Vittorioso”, “È grande eh”, “Ma tanto a letto sono tutte alte uguali”.

Non si tratta di uno sporadico episodio. Senza andare a cercare scheletri nell’armadio dei due, pure nella Formula Uno, quest’anno è successo qualcosa di simile. I protagonisti sono stati Matteo Bobbio e Davide Valsecchi che si erano lasciati andare a commenti, dopo il GP di Spagna, sessisti, rivolti a una donna presente nel paddock. Una ennesima prova di come la figura femminile, figuriamoci se associata allo sport, sia bistrattata e ridotta solo al fattore estetico e fisico. Un problema che si radica nel modo di ragionare della società in cui l’apparenza e il dimostrare qualcosa valgono più di talento e delle propri doti.

Ghizlane Chebbak
La capitana della Nazionale del Marocco Ghizlane Chebbak. Ph. Credit: IG Ghizlane Chebbak

Sessismo e classifiche di bellezza: come viene raccontato lo sport in rosa

Tra le varie problematiche della narrazione dello sport al femminile c’è anche la scarsa e poco attenta attenzione mediatica. Lo sanno bene le calciatrici, impegnate in questi giorni con il mondiale di Calcio femminile. In Italia, il mondo del pallone è quello che attira più attenzione e crea quasi dipendenza. Questo non vale se in campo giocano le donne, che per molti fanno un altro sport e sono “noiose”. Partendo dal presupposto che non si possono amare tutte le discipline sportive, a priori, non si può escludere un qualcosa solo perché non lo si conosce bene.

Dal 2019 con l’exploit dell’Italia al mondiale, non a caso, si è iniziato a parlare di calcio femminile. Purtroppo non basta. Ci sono stereotipi da scardinare e un sessismo dilagante. Alla capitana del Marocco Ghizlane Chebbak è stato chiesto quante gay ci siano in squadra. Una domanda posta dalla BBC con tanto di scuse successive. Martina Navratilova, una che ha dovuto lottare con i pregiudizi per le sue scelte in ambito privato, ha scritto: “Non posso credere che ci siano ancora in giro ca…oni che fanno domande così sceme“. Spesso le sportive e in generale le donne non vengono considerate al pari di chi ricopre gli stessi ruoli al maschile. La stampa tende sempre a ricordare come una atleta sia mamma, ad esempio (avete mai letto di un atleta chiamato ad esempio solo papà?) o chiamate per nome come se ci sia un rapporto di confidenza e non di formalità che dovrebbe esserci. Finché non verranno eliminate queste barriere di linguaggio, quindi, non cambierà la percezione mediatica di fan e non.

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