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Il trattamento “speciale” riservato agli sport al femminile no, non è un bene

AUCKLAND, NEW ZEALAND - JULY 24: Cristiana Girelli of Italy celebrates after scoring her team's first goal during the FIFA Women's World Cup Australia & New Zealand 2023 Group G match between Italy and Argentina at Eden Park on July 24, 2023 in Auckland / Tāmaki Makaurau, New Zealand. (Photo by Hannah Peters - FIFA/FIFA via Getty Images)

Fateci caso: la narrazione giornalistica per le figure femminili e per sport in rosa è sempre particolare. Le atlete sono chiamate per nome, come se ci fosse un rapporto confidenziale, se sono madri diventano automaticamente solo mamme.

La tuffatrice italiana Giulia Vittorioso. Ph. Credit: gi.vittorioso IG

Il caso dei Mondiali di nuoto, lo sport femminile è bistrattato

Ai Mondiali di nuoto di Fukuoka, in Giappone, hanno fatto clamore le parole, del giornalista Lorenzo Leonarduzzi e del commentatore tecnico Massimiliano Mazzucchi. I due, in diretta tv, si sono lasciati andare a commenti a dir poco sopra le righe, sgradevoli nei confronti di atlete impegnate nei tuffi e non. Tra queste, Giulia Vittorioso, azzurra figlia d’arte (il padre è un ex pallanuotista) che non faceva nemmeno parte della Nazionale si è sentita denigrata in diretta tv. In un clima di ilarità e noncuranza hanno detto: “Le olandesi sono grosse”, “Come la nostra Vittorioso”, “È grande eh”, “Ma tanto a letto sono tutte alte uguali”.

Non si tratta di uno sporadico episodio. Senza andare a cercare scheletri nell’armadio dei due, pure nella Formula Uno, quest’anno è successo qualcosa di simile. I protagonisti sono stati Matteo Bobbio e Davide Valsecchi che si erano lasciati andare a commenti, dopo il GP di Spagna, sessisti, rivolti a una donna presente nel paddock. Una ennesima prova di come la figura femminile, figuriamoci se associata allo sport, sia bistrattata e ridotta solo al fattore estetico e fisico. Un problema che si radica nel modo di ragionare della società in cui l’apparenza e il dimostrare qualcosa valgono più di talento e delle propri doti.

La capitana della Nazionale del Marocco Ghizlane Chebbak. Ph. Credit: IG Ghizlane Chebbak

Sessismo e classifiche di bellezza: come viene raccontato lo sport in rosa

Tra le varie problematiche della narrazione dello sport al femminile c’è anche la scarsa e poco attenta attenzione mediatica. Lo sanno bene le calciatrici, impegnate in questi giorni con il mondiale di Calcio femminile. In Italia, il mondo del pallone è quello che attira più attenzione e crea quasi dipendenza. Questo non vale se in campo giocano le donne, che per molti fanno un altro sport e sono “noiose”. Partendo dal presupposto che non si possono amare tutte le discipline sportive, a priori, non si può escludere un qualcosa solo perché non lo si conosce bene.

Dal 2019 con l’exploit dell’Italia al mondiale, non a caso, si è iniziato a parlare di calcio femminile. Purtroppo non basta. Ci sono stereotipi da scardinare e un sessismo dilagante. Alla capitana del Marocco Ghizlane Chebbak è stato chiesto quante gay ci siano in squadra. Una domanda posta dalla BBC con tanto di scuse successive. Martina Navratilova, una che ha dovuto lottare con i pregiudizi per le sue scelte in ambito privato, ha scritto: “Non posso credere che ci siano ancora in giro ca…oni che fanno domande così sceme“. Spesso le sportive e in generale le donne non vengono considerate al pari di chi ricopre gli stessi ruoli al maschile. La stampa tende sempre a ricordare come una atleta sia mamma, ad esempio (avete mai letto di un atleta chiamato ad esempio solo papà?) o chiamate per nome come se ci sia un rapporto di confidenza e non di formalità che dovrebbe esserci. Finché non verranno eliminate queste barriere di linguaggio, quindi, non cambierà la percezione mediatica di fan e non.

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