Davide Valacchi è un appassionato di ciclismo. Una passione che lo ha portato, nel 2019, a pedalare per 12.000 chilometri, da Roma al Kazakistan. Un percorso attraverso l’Europa e l’Asia centrale che rappresenterebbe una sfida per chiunque, figurarsi per un ciclista non vedente. Davide, però, è molto più della propria disabilità e lo dimostra con i fatti e con le parole. La sua storia è un esempio di quanto, a volte, le disabilità possano sembrare più insuperabili di quanto siano in realtà.
In tandem per i colli bolognesi
Incontriamo Davide in una mattinata invernale tra le colline bolognesi, città che lo ha adottato fin dai tempi degli studi. Vive in centro città ma quando possono, lui e il suo driver scappano in collina a farsi due pedalate. Ascolano d’origine, laureato in psicologia clinica a Urbino, vive a Bologna ormai da anni. “È una delle cose per cui la gente mi prende per pazzo” ci dice ridendo. “Dopo aver vissuto a Urbino da universitario, avevo voglia di vivere una città più grande, che offrisse maggiori opportunità di svago” uno stimolo comune a molti studenti. Ma non era solo la vita mondana bolognese ad attirare Davide: “volevo esplorare una città che non conoscevo, farlo da solo e in autonomia.”
Durante tutti questi spostamenti, la passione per le pedalate all’aria aperta non è mai passata. “Da bambino andavo molto spesso in bicicletta ed era un’attività che mi piaceva.” Gli occhi, però, iniziano ad appannarsi molto presto: “ho perso la vista tra i 9 e i 14 anni, in un momento delicato soprattutto per la socialità.” Brutta bestia l’adolescenza: lo è per tutti, per Davide Valacchi e per chi ha una disabilità come la sua, può essere anche peggio. “Il tandem – ci racconta – fu un regalo di mio padre.” Con una bicicletta classica non sarebbe stata la stessa pedalata: anzi, non ci sarebbe stata nessuna pedalata.
Davide Valacchi e la Fondazione Silvia Rinaldi
Grazie al tandem, infatti, anche un cieco può andare in bici, basta avere un driver a cui funzionino gli occhi: un compagno di pedalate che funge da guida ma non solo. A Bologna, Davide Valacchi ha incontrato la Fondazione per lo Sport “Silvia Rinaldi” di cui Matteo Brusa è segretario generale. Matteo, appassionato ciclista, è anche il driver che spesso accompagna Davide nelle loro scampagnate bolognesi. “Lo scopo della fondazione – ci dice Matteo – non è solo quello di avvicinare i disabili allo sport ma anche quello di integrarli con i cosiddetti normodotati.” Per questo il ciclismo nella versione tandem è perfetto: “da’ la possibilità a un non vedente, ad esempio, di fare sport con amici o parenti godendosi insieme i momenti all’aria aperta.”
Presto abbiamo capito che non eravamo davanti a un cieco e alla sua guida ma a due amici, con una passione in comune. “Il tandem – conferma Davide – mi ha aiutato tanto, sia dal punto di vista fisico che sociale. Mi permette, non solo di godere della mia passione ma di poterla condividere con gli altri, senza barriere.” Tra una domanda e l’altra, seguiamo i due in bici su e giù per i colli bolognesi e il tandem si rompe. Nulla di grave ma la catena è troppo lenta e mentre Matteo ripara il danno, noi abbiamo il tempo di riprendere fiato. Davide si stringe le scarpe, ascolta i messaggi WhatsApp letti da una voce metallica e continua a raccontarci la sua idea di disabilità.
Davide Valacchi: siamo noi a decidere la gravità del problema
“Il disabile che ha preso piena coscienza della propria situazione, sa che il compromesso è imprescindibile e bisogna accettarlo: pur volendo, non potrei andare in bicicletta per le strade di Bologna né da solo, né in tandem.” Effettivamente sarebbe complicato manovrare un mezzo così ingombrante tra macchine parcheggiate e barriere architettoniche, oltre al fatto che bisogna essere forzatamente in due. “La disabilità possiamo mettercela addosso oppure togliercela: siamo noi a decidere la gravità del nostro problema. Tendo sempre a vedere tutti gli aspetti della mia condizione: posti i limiti evidenti nelle cose che posso fare da solo, ho vissuto esperienze che tanti non sanno nemmeno di poter vivere.”
Non so quanti di noi ‘sani’ si sognerebbero di fare un viaggio di 12.000 km, in bicicletta, dormendo per lo più in tenda insieme a un’altra persona che ha pedalato 10 ore come noi. Pensate di affrontare un viaggio del genere da bendati: “prima di partire – confessa Davide – avevo molti timori, nonostante io sia contemporaneamente un ciclista e un cieco ‘esperto’. Mi chiedevo come sarei riuscito a fare tante cose ma poi ti ritrovi in strada e devi pensare a pedalare e affrontare i problemi uno alla volta.” E gli ostacoli nel suo lungo viaggio non sono stati pochi, soprattutto attraversando Paesi difficili.
Lo sport è inclusione e socialità
“Abbiamo percorso strade di Paesi poverissimi e incontrato tante persone. Ovunque abbiamo avuto un’accoglienza molto calorosa e mi sono reso conto di come i miei occhi rendessero più facile parlare con la gente.” Non è difficile immaginare l’attenzione che possa attirare un tandem (e un carrello) carichi all’inverosimile. Ancora più curiosità suscita un non vedente che viaggia in bicicletta. “Le persone venivano da me a farmi domande. Parlare della mia cecità, era un modo per conoscere gente con cui altrimenti non avrei parlato o sarebbe stato difficile.”
Va detto che Davide Valacchi non è un agonista: “nuotavo e ho fatto anche gare ma ho sempre visto lo sport come un divertimento e ho preferito lasciare spazio anche ad altre passioni.” Nuoto oltre al ciclismo e al trekking, all’immersione e all’arrampicata: Davide può essere senza dubbio definito un atleta. “Lo sport è inclusione e socialità: aspetti delicati quando si parla di disabili; elementi fondamentali per la vita di tutti.” Ciechi, biondi, bassi, amputati, disabili cognitivi o miopi: una pedalata all’aria aperta, sentire il fango sotto le ruote e il vento che ti arriva addosso fa bene a tutti. “Spesso viviamo le giornate tra la sedia dell’ufficio, il sedile dell’auto e il divano di casa. Avere la possibilità di uscire dalla città e godere di un po’ di sport, natura e compagnia è una terapia che consiglio a tutti.”
La Federazione degli sport per ciechi
Valacchi è un tesserato della FISPIC per il gioco del Torball. Proprio la Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi ha dato una gran mano per la realizzazione del viaggio. “Come federazione – ci conferma il presidente FISPIC Sandro Di Girolamo – abbiamo aiutato Davide nell’ottenere i visti necessari per attraversare i vari Paesi. Il suo progetto si inseriva perfettamente nel nostro scopo: sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della disabilità.” Un viaggio, un’esperienza sociale e, per dirla con le parole del presidente Di Girolamo: “un’impresa sportiva e umana senza precedenti.“
Nel futuro di Davide Valacchi, che intanto studia per l’abilitazione alla professione, c’è ancora tanto sport. L’ultimo viaggio si è concluso con la donazione del tandem ad un 30enne di Dushanbe, capitale del Tagikistan. Un altro viaggio è già in programmazione. Con la sua associazione I to Eye, Davide Valacchi continuerà a promuovere il tandem come mezzo di integrazione e sportività per i non vedenti e non solo. “Attraverso lo sport, i viaggi e i miei studi ho capito che ci sono molti modi per aiutare le persone a superare le difficoltà. È questo che voglio fare: aiutare le persone a superare gli ostacoli che si pongono, stando insieme, all’aperto, in movimento. Possibilmente in tandem.”