L’importanza di saper ascoltare: perché le parole di Paola Egonu hanno un certo valore

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Perché Paola Egonu non torna a parlare di sport?” “Ancora con questo razzismo?! Basta“. Questi sono solo due semplici esempi dei commenti social rivolti alla pallavolista negli ultimi giorni.

Paola Egonu con la maglia del Vakifbank. Ph. Credit: Vakifbank

Nessuno mi può giudicare nemmeno tu, la verità ti fa male lo so” cantava Caterina Caselli. Dato che Sanremo è appena terminato la citazione è ideale. Calza a pennello pure per Paola Egonu, co conduttrice della terza serata del Festival.

Monologo a parte, in cui il tema dei razzismo atteso dai suoi detrattori è stato solo accarezzato, Paola ha fatto un sacco di rumore lo stesso che di solito è in grado di creare quando schiaccia la palla. La verità, che attenzione è sempre la sua, raccontata attraverso il vissuto, ha indignato. Perché il suo dire l’Italia è un paese razzista ha ferito? C’è chi non riconosce il problema e chi lo minimizza. Manca un po’ di empatia e di voglia di immedesimarsi nei panni altrui. Basterebbe fermarsi e ascoltare.

Del resto è andato tutto al meglio finché la Egonu è stata zitta. Già in passato aveva denunciato episodi di razzismo, ma non era così famosa da creare scalpore. La notorietà guadagnata l’ha invece esposta, come accade per personaggi pubblici, a critiche.

Dallo sfogo del Mondiale (Mi hanno chiesto se sono italiana) al polverone pre Sanremo. Già nel 2017 a Sportweek diceva: “Chi è nero è sempre il colpevole. Fin dall’asilo. Mi hanno fatto di tutto ma per gli adulti era sempre colpa mia. Oggi mi dicono “Caspita, sei stata forte”. E mi prendono addirittura ad esempio. Durante le partite mi hanno gridato “Cita, tornatene nel tuo Paese”. All’inizio mi feriva, ora no. Non ho un problema io, è ignorante chi ragiona così“. Probabilmente in quanto personaggio pubblico ha deciso di alzare la voce o forse si è stancata di fare finta di nulla. È forte ma anche fragile: se ci si fermasse a dare valore a quello che ha detto lo si capirebbe.

Paola Egonu a Sanremo con Amadeus. Ph. Credit: Fipav

L’Italia è un paese razzista?

Esagerata, non siamo razzisti!” le hanno scritto. Poi: “Ti abbiamo dato la maglia azzurra e tu ci ripaghi così“. La maglia azzurra non gliel’ha data nessuno, se non il C.T Davide Mazzanti che in base a risultati sportivi valuta chi è più meritevole. Sulla carta, come tutte le giocatrici di nazionalità italiana (e lei è nata a Cittadella) è eleggibile per la Nazionale. Non è una privilegiata, la sua vita lo è diventata grazie al suo impegno. È semplicemente una ragazza, fortunata, che ha sfruttato un talento.

C’è chi è bravo a schiacciare un pallone e chi è bravo a costruire case e arriva a ricoprire un certo ruolo. Forse, anzi, in virtù del privilegio che ha (se così si vuol chiamare l’essere famosi) ha raccontato la sua storia. Senza vittimismo, come un grido d’aiuto di una ragazza di 24 anni. Una pallavolista che sul palco di Sanremo è stata quasi “costretta” a dover dire che ama il suo paese. È stata portata quasi a scusarsi. No, Paola, non devi scusarti di nulla. Dovrebbero farlo gli altri. Chiedere scusa significherebbe ammettere l’esistenza di un problema e finché una tematica come il razzismo non verrà riconosciuta come tale sì che l’Italia resterà un paese razzista.

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