Djoko-gate: tra errori e ricorsi

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Avrebbe dovuto essere il protagonista del match di apertura degli Australian Open e invece si trova all’aeroporto di Dubai di ritorno a casa. I fatti li conosciamo: Djokovic non è vaccinato. Ha avuto il Covid e da infetto ha viaggiato nel mondo. Dopo, il 4 gennaio, si è recato in un paese che non ammette la guarigione dal virus come valida per l’esenzione, dichiarando comunque il falso. Un errore dietro l’altro. Ma facciamo un passo indietro.

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Djokovic e il covid: una storia segreta

Avvolgiamo il nastro a metà dicembre. Djokovic è alla partita di basket fra la Stella Rossa e il Barcellona: viene fotografato che abbraccia alcuni giocatori, risultati poi positivi. E’ il 14 dicembre e anche Novak risulta positivo. Ma la notizia resta segreta. Così segreta che il 17 dicembre Djokovic ha partecipato a un evento a Belgrado in onore di giovani tennisti con cui si è fatto foto senza mascherina. Ma non è tutto. Il 18 dicembre Djokovic ha realizzato un’intervista e un servizio fotografico per il quotidiano francese L’Equipe, pur sapendo di essere positivo al Covid. Molte settimane dopo dirà: “Non volevo deludere il giornalista, ripensandoci, questo è stato un errore di giudizio“. Il 29 dicembre si è ritirato dalla squadra serba per l’ATP Cup e due giorni dopo, il 31, parte per la Spagna.

Questo è solo il primo “errore di giudizio” dell’intera storia. Veniamo al secondo.
E’ il 4 gennaio e sul suo profilo Instagram fa sapere di essere in partenza per l’Australia e che ha a un permesso di esenzione dal vaccino che gli consentirà non solo di entrare nel paese ma anche di giocare il torneo nonostante non sia immunizzato. Qui inizia la querelle. Il pubblico chiede a gran voce la motivazione. Ma se il pubblico chiede a gran voce di sapere perché ha quell’esenzione l’Australian Border Force non accetta la guarigione da Covid, anche di recente, come motivazione valida per l’esenzione dal vaccino. Pertanto dopo i dovuti controlli, a Djokovic viene negato il visto d’ingresso per non avere soddisfatto i requisiti. Viene spedito al Park Hotel, hotel dei rifugiati politici e dei richiedenti asilo, e lì resta per 4 notti. Tempo di presentare l’appello. Le regole sono uguali per tutti, si sbriga invece a twittare Scott Morrison, il primo ministro australiano.

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Il padre e il fratello di Novak durante una conferenza stampa

La legge è uguale per tutti

Così dopo un tira e molla degno di una telenovela, il visto è stato prima ripristinato dopo il primo ricorso, poi tolto, poi ancora un ricorso e infine l’epilogo. Quando il numero 1 al mondo viene ammesso nel torneo e il sorteggio stabilisce che giocherà al debutto con il connazionale Kecmanovic, altre incongruenze emergono. Questa volta troppo grandi. Il tira e molla finisce. Il visto viene revocato. Nei suoi documenti di viaggio Novak dichiara di non aver viaggiato negli ultimi 14 giorni: falso. E siamo giunti al secondo “errore umano” questa volta non “di giudizio”. L’errore sarebbe del suo staff nella compilazione, sostiene il giocatore serbo. Come se quando nella compilazione di un modulo nella voce “residente in” mettiamo la via anziché la città. Un comune errore di compilazione.

Ma nella polemica rientra anche una violazione della quarantena per i positivi al Covid in Serbia. Insomma, in tempi pandemici, cose grosse. Così il ministro dell’Immigrazione annulla in via definitiva il visto dell’atleta “per motivi di salute e buon ordine, sulla base del fatto che ciò era nell’interesse pubblico“. Il giorno seguente Novak Djokovic e il suo staff impugnano la decisione di revoca. Il caso passa alla Corte Federale che all’unanimità respinge l’appello del tennista contro la cancellazione del visto. E’ il 17 gennaio 2022, Novak dovrebbe giocare la partita inaugurale del torneo e invece è all’aeroporto di Dubai, che torna da dove è venuto. L’aveva detto Morrison che la legge è uguale per tutti. Novak invece pensava di farla franca, quando l’unica cosa che ha fatto è una grossa figuraccia.

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