Andriy Shevchenko, l’usignolo di Kiev che ha conquistato Milano

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Uno di quei cannonieri che passano poche volte nella storia. A suo modo ha costruito un prototipo di attaccante, mixando varie caratteristiche dai suoi predecessori. Andriy Shevchenko è stato uno dei goleador più maestosi dei primi anni 2000, uno di quei calciatori che non è mai tramontato e che ha lasciato fotografie indelebili nelle menti degli appassionati, specialmente dei tifosi rossoneri.

Sheva rigore finale Champions Milan vs Juventus
Sheva rigore finale Champions (Goal Italia)

Sheva, re del derby di Milano e simbolo della nazionale ucraina

Nato in un villaggio a est di Kiev, il fenomeno ucraino è riuscito a raggiungere picchi straordinari per un calciatore, abbinando eleganza, tecnica e fiuto del gol. Sicuramente il più grande talento dell’est Europa nel periodo post Unione Sovietica. Soprannominato ‘L’Usignolo di Kiev‘, per l’eleganza e la potenza delle sue giocate, accostate al canto dolce del famoso volatile. Un ragazzo da sempre focalizzato, forte di un passato complicato che lo ha visto lasciare la sua casa all’età di nove anni per sfuggire alle contaminazioni date dal disastro di Chernobyl. Figlio di un ufficiale sovietico, cresce con una mentalità dedita al lavoro. La stessa che gli permette di ambientarsi subito al campionato italiano nel 1999, in un periodo di massimo splendore per la Serie A, in quel momento il torneo più attrattivo d’Europa. Sheva inizia da subito a devastare le difese avversarie, tanto da vincere il titolo di capocannoniere al suo primo anno in Italia, collezionando 24 reti.

Nel ’99 segna anche il primo dei suoi 14 gol contro l’Inter che lo rendono ancora oggi il re del derby di Milano. Deve aspettare la stagione 2002-2003 per trionfare col Milan, segnando il rigore decisivo in finale di Champions League contro la Juventus. Iconico il suo tiro dal dischetto che spiazza Buffon e regala ai rossoneri la Coppa dei Campioni. “In quei dodici secondi che ho impiegato per arrivare dal centrocampo al dischetto, ho pensato a tutta la mia vita. Ho capito che il sogno che avevo fin da bambino stava per realizzarsi, già avevo pensato a come tirare. Tutto è andato come avevo immaginato”. Nel momento in cui il pallone si insacca in rete Sheva compie il passo decisivo verso il Pallone d’Oro che vincerà poi l’anno successivo, nel 2004. Traguardo che lo rese il primo calciatore ucraino della storia a conquistare il premio e il quinto del Milan dopo Rivera, Gullit, Van Basten e Weah. Dopo di lui toccherà a uno dei suoi partner d’attacco, Kakà.

Shevchenko Ucraina
Shevchenko Ucraina (Foto: Thomas Zimmermann/Imago Images – OneFootball)

Il Pallone d’Oro nel 2004, l’impegno fuori dal campo: il meglio di Sheva

Andriy raggiunge il picco della sua carriera tra il 2003 e il 2006, diventando uno dei migliori centravanti al mondo. Tanto da attirare l’attenzione di Roman Abramovich che decide di acquistarlo per rendere il suo Chelsea un top club. Galliani non si oppone più di tanto ma fatica a lasciare andare il suo pupillo. A Londra, però, trova José Mourinho e tra i due non scocca la scintilla. All’improvviso lo status di Sheva inizia a cambiare. Complici gli infortuni post-Mondiale dove la sua Ucraina viene eliminata ai quarti di finale proprio dall’Italia di Lippi. Il cordone ombelicale con il Milan è ancora saldo. Non a caso dopo due anni torna a Milano, in quella che ancora oggi considera la sua casa. Sheva però è un lontano parente di quel bomber spettacolare dei primi anni 2000; ma d’altronde i livelli raggiunti dall’attaccante ucraino in quel periodo erano difficilmente replicabili.

Decide di giocarsi le ultime cartucce alla Dinamo Kiev, dove tutto era iniziato. A testimonianza dell’amore per il suo paese, inizia la carriera da allenatore alla guida della nazionale ucraina. In prima fila nelle iniziative a favore della sua gente durante la guerra in Ucraina. Non a caso il presidente dell’Ucraina Zelensky lo nomina suo consigliere. Quella di Andriy è la storia di un uomo che ha sempre vissuto da protagonista, gestendo con grande umiltà un successo che in pochi sarebbero riusciti a tenere a bada. I trofei vinti sono solo il contorno di un personaggio che ha saputo conquistare una città come Milano, diventando l’eroe del popolo rossonero e che ancora oggi è il simbolo sportivo del proprio paese. A testimonianza della dimensione di Sheva, è esemplificativo il racconto dell’ex dirigente del Milan Ariedo Braida: “Io e Galliani non siamo mai andati a vedere insieme un giocatore che volevamo prendere. Lo facemmo una sola volta e fu per Shevchenko“. Basterebbe questo a rendere l’idea della maestosità dell’Usignolo di Kiev.

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