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L’NBA contro il load management: nuova regola per evitare l’eccessivo riposo delle stelle

Load management_ George e Leonard (By Ian McMahan)

Un segnale forte quello della NBA che, con l’introduzione della ‘Player Participation Policy’, dalla prossima stagione contrasterà il meccanismo del load management, nonché la gestione meticolosa del carico di lavoro. Una misura adottata dalla Lega per provare ad avere tutte le superstar il più possibile in campo durante l’anno, garantendo così un prodotto sempre più spettacolare e di qualità.

LeBron James e Anthony Davis (JAYNE KAMIN-ONCEA, USA TODAY SPORTS)

La misura della ‘Player Participation Policy’ per contrastare il load management: stretta della NBA

La misura adottata dalla NBA nasce per migliorare lo spettacolo, soprattutto durante la Regular season dove, si sa, spesso le franchigie lasciano a riposo i loro migliori giocatori per molte partite, così da limitare le possibilità di infortuni. Adam Silver ha sempre puntato a perfezionare il prodotto che ad oggi è un brand straordinariamente riconoscibile e va ben oltre il gioco del basket. Spesso, però, alcune società tendono a preservare le proprie stelle, a discapito della regolare fruizione dell’evento. Negli ultimi tempi si sta parlando tanto di load management. Meccanismo con il quale le società tendono a gestire chirurgicamente gli sforzi delle proprie superstar nel corso della stagione. Uno dei casi eclatanti è stato quello di Kawhi Leonard da parte dei Toronto Raptors, rivelatosi vincente nel 2019 con la conquista del titolo. In precedenza il tema era venuto fuori soprattutto in merito alla gestione di Tim Duncan da parte di coach Popovich.

Spesso il load management rischia di degenerare. Molti dei top player delle Lega riposano più del dovuto durante la stagione regolare, così da preservare la propria integrità fisica per i play-off. Nelle ultime stagioni i Los Angeles Clippers, ad esempio, hanno spesso giustificato il riposo di Leonard e Paul George come ‘load management’. In alcuni casi si trattava anche di falsi infortuni. Questo va a discapito dello spettacolo, per sponsor e media televisivi ma soprattutto per il pubblico che fruisce del prodotto e che, in fin dei conti, rappresenta il motore del prodotto stesso. In questi casi la NBA decide di intervenire. Lo ha fatto in passato con la ‘Player resting policy’ e adesso con la nuova ‘Player participation policy’. “Vogliamo ritornare al principio che il nostro campionato è di 82 partite”, ha affermato il commissioner Adam Silver. “I riposi, eccessivi, soprattutto dei giocatori più giovani, ci erano un po’ sfuggiti di mano. Lo facciamo per i tifosi”.

Kawhi Leonard e Paul George: load management (Jae C. Hong / Associated Press)

L’NBA mette alle strette le franchigie per garantire lo spettacolo: star player in campo più spesso in Regular season

Già qualche mese fa era arrivato un primo segnale da parte della NBA che aveva imposto una soglia minima di partite (precisamente 65 su 82) da disputare, per poter puntare a uno dei premi stagionali. Un segnale chiaro per avere in campo sempre più stelle possibili e favorire lo spettacolo sia per il pubblico che per i media. Ufficialmente per ‘stella’ si intende un giocatore che nei tre anni precedenti sia stato inserito almeno una volta nell’All-Star Game o che sia stato incluso in uno dei quintetti All-NBA. Solo 4 squadre non risentiranno della Player participation policy, non avendo uno star player nel proprio roster. Si tratta di Pistons, Magic, Spurs e Wizards. Le altre 26 franchigie potranno far riposare massimo una stella a partita. Tra le nuove regole introdotte dalla Lega anche il bilanciamento tra assenze in casa e in trasferta. Ma anche l’obbligo di presenza in panchina del giocatore, anche in caso di indisponibilità, così da rendersi visibile ai fan.

Le franchigie dovranno assicurarsi anche che le proprie stelle siano in campo per le partite in diretta TV nazionale e per quelle del nuovo torneo In-season. Un’eccezione è prevista nei back-to-back della stagione. Qui la Lega può accettare il riposo di uno star player, se comunicato con almeno una settimana di anticipo. Ma solo in alcune circostanze: se si tratta di giocatore di almeno 35 anni, con 34000 minuti già disputati in Regular season in carriera e con mille o più partite a referto. L’entrata a gamba tesa della NBA colpisce soprattutto le squadre di prima fascia come Nuggets, Heat, Celtics, Mavericks, Lakers, Warriors, Bucks, Clippers, Suns, Sixers che presentano un roster con almeno 2 stelle e dovranno sottostare a nuove regole piuttosto serrate. La nuova misura contro il load management dovrebbe riportare credibilità a una Regular season che, negli ultimi anni, aveva perso fascino. Sarà pure una mossa furba da parte di Adam Silver, ma senza dubbio rappresenta una piccola rivoluzione che potrebbe migliorare decisamente il prodotto NBA.

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