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Basket in carrozzina: siamo stati a un allenamento dei Giovani e Tenaci

Orecchini, tatuaggi, anelloni da metallaro, barba lunga brizzolata e una gamba sola. A prima vista Stefano Rossetti ha qualcosa del pirata. Non come i corsari moderni ma uno di quelli romantici: un personaggio con sogni di libertà e che può ottenere tutto con un solo “aaargh”. Lo trovo ad aspettarmi nello spogliatoio, mentre i ragazzi che allena si cambiano per l’allenamento. La squadra dei Giovani e Tenaci milita nel campionato nazionale giovanile di basket in carrozzina.

A sinistra Stefano Rossetti, allenatore dei Giovani e Tenaci

Allenamenti e partite casalinghe, si svolgono nel campo della Fondazione Santa Lucia, a Roma: una struttura con una decennale storia di vittorie in questa disciplina. Sulle pareti dietro i canestri, le gigantografie dei successi della squadra di serie A: “quello sono io”, indica Stefano Rossetti. “Ao – mi risponde quando gli faccio presente che non lo riconosco – sono l’unico che se vede in faccia.” A mano aperta verso la foto, in un gesto tipicamente romano, mi indica il giocatore numero 13.

Il basket in carrozzina del Santa Lucia

Dal 1992, Stefano è stato uno dei giocatori di punta della squadra di basket in carrozzina del Santa Lucia, dove ha giocato per 24 anni. Le prestazioni e i successi lo hanno portato fino alla nazionale maggiore, con cui ha partecipato a 3 mondiali, 9 europei e un’olimpiade. Di acqua sotto i ponti ne ha vista. Lui stesso si definisce ‘un vecchio’: “quando ho iniziato io, uscivo da lavoro e andavo all’allenamento, così come gli altri compagni. Così potevamo finanziarci gli allenamenti.” 

A distanza di quasi 30 anni, gli sport paralimpici godono di tutt’altra attenzione: “oggi ci muoviamo principalmente con sponsor o bandi: cosa che prima era molto più difficile.” Entrando in campo con lui e la squadra, mi guardo intorno: non sono mai entrato in un campo di basket in carrozzina – penso – ma la mia curiosità è subito delusa: “il campo, come il canestro, sono quelli regolamentari. Identici a quelli per normodotati.I ragazzi iniziano il riscaldamento con i classici giri di campo. Spingono le carrozzine sul parquet, trainando un compagno che sta attaccato dietro: oggi si allena la forza.

Il ruolo dell’allenatore nel basket in carrozzina

Stefano Rossetti è perfettamente cosciente del proprio ruolo: io posso occuparmi della parte tecnica e trasmettere la mia esperienza. Per la parte atletica, invece, devo affidarmi a chi ne sa più di me.” Mentre Pierpaolo e Silvia, i preparatori agli ordini di Stefano Rossetti, dirigono il riscaldamento, il coach continua a rispondere alle mie domande. Scopro così che le squadre, vengono formate in base a un punteggio dato dal tipo e dal grado di handicap del giocatore. “Il lavoro dell’allenatore – mi spiega Stefano – sta anche nel conoscere e sfruttare le caratteristiche di ogni giocatore, compresa la sua disabilità.” Potrebbe sembrare un discorso cinico ma, riflettendoci, è quello che si fa in ogni sport.

In base alle loro capacità e a quello che vedo in allenamento, proviamo schemi e ruoli. La vedi Elisabetta?” l’unica ragazza presente, evidentemente alta. Lei gioca sotto canestro; quelli più piccoli o con le disabilità maggiori, invece, rimangono esterni.” Esattamente ciò che avviene nella pallacanestro tradizionale: “Leonardo – uno dei giocatori con le ruote rosse, che indicano i livelli di disabilità più alti – quando è arrivato, non riusciva a toccare la rete con la palla. Ora ci arriva e va a canestro: io ho un rosso che può segnare due punti.” Intanto Stefano non toglie gli occhi dal campo e più di una volta richiama a gran voce chi se la prende comoda: se possono muovere anche solo un orecchio, devono muoverlo al meglio delle loro capacità. Poi io so che quello che può fare una persona, non può farlo un’altra.”

Da gioco riabilitativo a sport di squadra

Quando i ragazzi iniziano a lavorare con il pallone in una partitella simulata, Stefano fa avanti e indietro tra me e il campo per dare indicazioni ai suoi. Mi racconta che molti dei ragazzi non sono nemmeno di Roma: “c’è chi viene da Latina, Priverno, Fiumicino o addirittura da Avezzano, fuori regione.Mi indica quelli che sono costretti a fare più strada degli altri, per venire ad allenarsi dalle due alle tre volte a settimana. “Il basket in carrozzina porta via tanto tempo: mediamente ci alleniamo 9 mesi l’anno ma se si arriva in nazionale o anche in serie A, ci si allena tutti i mesi.” Penso all’impegno dei giocatori e poi mi rendo conto che non possono certo fare tutti questi chilometri da soli.

L’impegno dei genitori deve essere tanto. “Capirai! – mi fa Stefano – Quando stanno qua, questi ragazzi rinascono. Di solito, quando arrivano sono timidi, testa bassa e raramente escono di casa. Dopo qualche allenamento li vedi sorridenti, a testa alta, parlano tra di loro e scherzano con gli allenatori.” Non sono solo l’attività fisica e l’incredibile motricità che guadagnano allenandosi, “questo, come altri sport paralimpici di squadra, portano gli atleti a interagire con altri nelle loro condizioni ma anche con persone che li trattano da atleti.”

Sono atleti, vanno trattati come tali

Sono atleti, è questo l’elemento che salta all’occhio guardandoli: si allenano, s’impegnano, sbagliano e riprovano, ascoltano i consigli di Stefano tanto quanto gli urlacci quando, secondo il coach fanno qualcosa che non va. “Per me i ragazzi sono atleti e io li tratto come tali: fare l’allenatore, oltre a insegnare le tecniche, è anche dimostrare che tu hai ragione. Non per presunzione ma per esperienza.” Lo dimostra andando a muso duro contro uno dei giocatori che, a detta del mister, non stava eseguendo correttamente il suo compito.

La squadra si ammutolisce mentre l’allenatore rimprovera il compagno. Gli altri, in silenzio, ascoltano i rimproveri e le indicazioni seguenti. “Io tratto tutti i ragazzi nello stesso modo. Posso sembrare anche brusco ma il mio ruolo è quello di tecnico e io li gratifico tecnicamente.” È un allenatore da bastone e carota ma sa che: “così si fonda un rapporto di fiducia tra allenatore e team.” È innegabile che Stefano Rossetti sia un carismatico, di quelle persone che sanno farti stare a tuo agio ma in grado di zittire un intero palazzetto: se je gira.

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