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Sergio Aguero, da cavernicolo a Re d’Inghilterra

Quella di Sergio Aguero è la storia di un predestinato. Dall’esordio record con l’Independiente al ritiro forzato a vausa di un aritmia cardiaca, la carriera del kun è stata tutt’altro che banale.

Un giovanissimo Sergio Aguero esulta dopo un gol con l’Independiente

Le origini del Kun

7 luglio 2003, San Lorenzo-Independiente. Nel secondo tempo l’allenatore ospite getta nella mischia un ragazzino di 15 anni che rispondeva al nome di Sergio Aguero. Senza accorgersene era diventato il più giovane esordiente nella storia della Primera Division, battendo il record di Maradona. Nelle successive due stagioni prende parte a 20 partite realizzando 5 gol. Nel 2005 conquista il Mondiale under 20 anche se a prendersi la scena è stato il migliore amico Messi. La stagione 2005/06 è quella della consacrazione. A 17 anni, il Kun, soprannome datogli dal nonno vista la sua passione per un cartone chiamato “KumKum il cavernicolo”, realizza 18 gol. Una stagione così non passa inosservata e infatti arriva la chiamata europea, quella dell’Atletico Madrid chiamato a sostituire il figliol prodigo Fernando Torres. Il trasferimento ha inizialmente qualche problema. L’Independiente non vuole privarsi della sua gemma, ma i 25 milioni di euro offerti avrebbero convinto chiunque.

In Spagna ha bisogno di un anno di adattamento dopo di che inizia a segnare con una regolarità impressionante. 101 gol in 234 partite nella Capitale. Nel frattempo si è ripreso quello che l’amico gli aveva tolto: vince il campionato under 20 nel 2007, pallone e scarpa d’oro della competizione. La coppia formata con Forlan è ancora ricordata come una delle più romantiche nella storia della Liga. I due contribuiscono in modo decisivo ai trionfi dei Colchoneros che alzano Coppa e Supercoppa Uefa nel 2009. Per Aguero è arrivato il momento di fare un’altro passo avanti. E’ troppo forte per non vincere ogni anno. In solo 5 stagioni entra e rimane tutt’ora nella top-ten dei marcatori nella storia dell’Atletico. Nell’ultimo anno rinnova il contratto, ma l’Atletico sa che è arrivato il momento di lasciarlo andare. Le sue ambizioni sono troppo grandi e ne facilita il trasferimento abbassando la clausola rescissoria. 

Uno splendido e significativo abbraccio tra Sergio Aguero e Diego Forlan

God Save El Kun

Qualche mese dopo a pagare i 45 milioni richiesti è il nuovo Manchester City degli scicchi, guidato in panchina da Roberto Mancini. La squadra allestita è favolosa: ci sono Yaya Tourè, David Silva, Nasri, Dzeko e proprio il Kun con Tevez e Balotelli a fare il terzo e quarto in comodo. Il suo impatto con il campionato più difficile al mondo non delude le attese. 30 gol in 48 partite al suo primo anno ma per i tifosi dei Citizens, ne sarebbe bastato solo uno, l’ultimo, nell’ultima patita dell’anno in quella che è forse la partita più pazza nella storia della nuova Premier League. E’ il 13 maggio del 2012 e si gioca l’ultima di campionato. Le due di Manchester sono appaiate entrambe ad 86 punti anche se grazie alla differenza reti, i ragazzi di Mancini tengono il primato. Le partite si giocano in contemporanea, lo United di Ferguson fa visita allo Stadium of Light di Sunderland, mentre il City ospita all’Etihad il Qpr. I Red Devils archiviano la pratica con il minimo sforzo battendo 1-0 i padroni di casa. Al triplice fischio sono loro i campioni d’Inghilterra, ma bisogna attendere il responso da Manchester. Il City è sotto 2-1 al 92esimo minuto. Sembra tutto apparecchiato per un nuovo trionfo di Sir.Alex Ferguson ma sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Dzeko di testa dà nuova speranza al popolo celeste. La partita è agli sgoccioli. Siamo entrati nel quarto dei cinque minuti di recupero assegnati. A Sunderland c’è già chi canta e fa festa, sciocchi, perchè non avevano fatto i conti con il ragazzo di Quilmès, l’uomo della storia. De Jong porta sù il pallone, lo appoggia al Kun che chiede ed ottiene l’uno due con Balotelli che scivolando gli restituisce il pallone. Aguero controlla il pallone in area, finta il tiro, mette a sedere il difensore e scarica un bolide sotto la traversa. Impazziscono tutti: Mancini, lo stadio, qualsiasi altro tifoso di calcio che non sia Red Devil.

Un trofeo che mancava da 44 anni nella sponda blu di Manchester. Il primo di cinque conquistati ma senza dubbio il più bello. Da lì in poi è quasi un esercizio di stile. 390 partite e 260 gol. Chiude la sua avventura in Premier come miglior marcatore straniero di sempre, quarto nella classifica totale e come primatista nella speciale classifica delle triplette messe a segno in Premier. Lascia il club dopo 10 anni pieni di emozioni costellati da 15 titoli. Il trasferimento a Barcellona passa quasi inosservato. Nell’ultimo anno, a causa di problemi fisici, è quasi sempre indisponibile e quando lo è, fa vedere di non essere in condizione. Il club catalano lo acquista per far coppia con Messi e provare a rilanciare un Barcellona in difficoltà economica e di risultati. Proprio i problemi finanziari, fanno sì che, dopo neanche una partita disputata insieme, arrivi la separazione della coppia. Il Kun sembra un pesce fuor d’acqua. Realizza un gol seppur inutile, nel Clasico, perchè i fenomeni anche a mezzo servizio, timbrano sempre nelle partite che contano. Il 31 ottobre scorso ha giocato la sua ultima partita in carriera contro l’Alavès e al 42esimo minuto viene sostituito per problemi cardiaci. Chiude la sua incredibile, appassionante, per certi versi unica carriera tre mesi dopo, tra la commozione generale. L’aritmia cardiaca non gli permette di continuare e dopo lo stop forzato, arriva il momento dell’addio definitivo. “Sono qui per dire che smetto di giocare a calcio. È un momento durissimo però sono molto felice della decisione che ho preso, prima viene la salute. Me ne vado a testa alta e molto felice, non so cosa farò ora, per me inizia una nuova vita”.

Le lacrime di Sergio Aguero durante la conferenza stampa del ritiro

L’uomo della storia

Quello che lascia Aguero al calcio è qualcosa che va oltre il rettangolo verde. Per chi come me rientra nella categoria “millennial”, o sfiora di poco questa definizione, non dimenticherà mai quel ragazzino, forse il primo nuovo fenomeno argentino. In quegli anni Messi aveva ancora dietro l’ombra di Ronaldinho mentre lui era già parte della storia dell’Atletico Madrid. Un nove che giocava come un dieci ed un dieci con la capacità realizzativa di un nove. Era tanto bello da vedere quanto efficace. Una sorta di sintesi perfetta tra la bellezza della Venere di Botticelli e la semplicità della zuppa Campbell di Warhol. Era un uomo squadra ma allo stesso tempo un egoista. In area ogni pallone era suo e finiva nel tabellino dei marcatori. Riusciva a trovare angoli impossibili, si divertiva a trovare traiettorie imparabili con l’area piena di gente e con difensori incollati.

Sfruttava i movimenti delle gambe degli avversari, sentiva la porta, non aveva bisogno di vederla. “Ho imparato a giocare con il sole: se c’è il sole, ci sono ombre. Spesso, giocando con la schiena alla porta, quando mi arriva il pallone la prima cosa che faccio è guardare l’ombra del mio marcatore, così posso aggirarlo“. Un’intelligenza calcistica fuori dal comune che gli ha permesso di diventare uno dei migliori attaccanti nella storia del campionato più fisico al mondo, nonostante i suoi appena 173 centimetri. Aguero ha cambiato ogni squadra dove ha giocato. E’ il golden boy dell’Independiente, è l’artefice del primo successo europeo nella lunga storia continentale dell’Atletico Madrid nonchè l’uomo che ha riportare il titolo nella sponda blu di Manchester dopo 44 anni. Lascia il calcio un campione vero, un attaccante formidabile che ha trascinato con se milioni di tifosi. Gracias Kun, mucha suerte.

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