Sport, salute mentale, emozioni: un nuova etica

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Mens sana in corpore sano, dicevano i latini. Non c’è futuro senza passato e in effetti quello di cui si parla oggi è materia di cui si è parlato ieri e la soluzione dei problemi di oggi arriva proprio da ieri. Prendersi cura della propria salute mentale è sempre più centrale, anche e soprattutto nello sport, dove l’etica deve cambiare

salute mentale
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Biles, Phelps, Osaka, molti atleti soffrono di salute mentale

Sempre più atleti, e sempre più spesso, decidono di ritirarsi dalla scena sportiva “per preservare la propria salute mentale”. Un dato, questo, evidente e allarmante. Da Simone Biles a Naomi Osaka a Michael Phelps: nella maggior parte dei casi più si arriva in alto più si è soggetti a soffrire di depressione. Simone Biles fece parlare di sé perché a Tokyo2020 si ritirò. Fu la prima atleta a ritirarsi dalle Olimpiadi non per problemi fisici ma per difficoltà legate allo stress. Da quelle Olimpiadi venne eliminata al terzo turno anche la tennista nipponica numero 2 al mondo, Naomi Osaka. Ancora prima l’atleta si era ritirata dal Roland Garros a causa della salute mentale. All’epoca non proseguì il torneo in seguito ad una multa di 15mila dollari ricevuta per non essersi presentata in conferenza stampa. Ma a quella conferenza non si presentò per una forma depressiva. Spiegherà in seguito: “Mi sentivo vulnerabile e ansiosa quindi ho pensato che fosse meglio preservarmi e saltare le conferenze stampa.” Fu costretta al ritiro dall’Open di Francia.

E poi ancora: Michael Phelps. Lui è il campione olimpionico più decorato della storia: 23 ori, 16 medaglie individuali, e 13 medaglie d’oro individuali. Il nuotatore venne arrestato nel 2014 per un incidente in stato di ebrezza e portato in una clinica riabilitativa in Arizona. Lì provò a combattere i problemi di ansia, depressione e pensieri suicidi. Nel 2019, il Comitato Olimpico Internazionale (International Olympic Committee, IOC), ha pubblicato un documento in cui afferma che “la salute mentale non può essere separata dalla salute fisica” . E ancora che “i disturbi mentali sono comuni tra gli atleti d’élite”. Secondo il documento “le strategie di intervento devono essere rivolte sia ai singoli atleti con una presa in carico biopsicosociale sia agli ambienti in cui essi si allenano e competono”.

Salute mentale: una questione di allenamento

Mariolina Palumbo, psicologa clinica e ideatrice del podcast Il salotto di Mariolina, dopo aver seguito molti personaggi noti ammette che “i grandi team devono migliorare la figura del coach per la salvaguardia della persona e del team stesso.” Una figura sempre più centrale perché se è giusto allenare il fisico al fine della perfetta prestazione, è altrettanto opportuno allenare la mente. “I grandi performer devono controllare la mente. Chi ha raggiunto grandi successi è perché non ha perso il contatto con se stesso.” Ecco perché Garbine Muguruza, ex numero 1 del tennis mondiale nel 2017, ha annunciato che salterà la stagione della terra e dell’erba per stare con la sua famiglia. “Passare del tempo con la famiglia e gli amici di sempre è stato salutare e fantastico” ha spiegato l’atleta.

Allontanarsi da sé è burnout certo. Tuttavia quando si arriva a livelli alti quello che si è nel profondo si può perdere e questo ci porta al crollo emotivo. L’atleta non deve perdere il contatto con la famiglia, le radici e il suo io interiore aldilà dei riflettori. Bisogna educarli a questo, ricordargli che sono persone devono avere la mente morbida.” Che significa mente morbida? “Devono essere pronti ad un infortunio, ad un’uscita di scena improvvisa, non devono farsi prendere dalla megalomania. La loro vita è sempre legata alla loro performance, ma non è così” spiega la psicologa. Non si tratta dunque di psicoterapia ma di allenamento della mente, appunto. Il corpo sta alla mente come la mente al corpo, questa è una storia antica che viene dal mondo latino, mens sana in corpore sano. “E questo vale aldilà della performance. Anzi, l’equilibrio mentale si costruisce anche e soprattutto lontano dalla fase competitiva. La fase di relax molto spesso porta nervosismo e malessere. Non bisogna in quel momento accantonare l’allenamento mentale. E’ una anche una sorta di autoprotezione che l’atleta si ‘regala’“.

Un nuova etica, quella delle emozioni

L’aspettativa sociale, il pressing culturale, la sensazione di distacco dal proprio io possono essere i motivi che condizionano l’esistenza apparentemente perfetta e patinata degli atleti sulla cresta dell’onda. Ci sono istanze più importanti di quelle sociali, sono quelle individuali. L’esterno è esterno e deve essere confinato al di fuori della nostra sfera emotiva. “Creare dei perimetri è un dovere. Per questo la figura del coach deve essere fissa. La bolla di fluidità e di paura in cui viviamo richiama un’etica basata sulla centralità delle emozioni. Da lì si può costruire tutto, ma salvaguardando l’uomo” conclude Mariolina Palumbo.

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