Il ruolo del trequartista ha vissuto dei profondi cambiamenti nel corso degli anni e oggi è sempre più difficile individuare le caratteristiche che hanno contraddistinto il calcio di Ricardo Kakà. Il brasiliano che ha incantato l’Europa con giocate proibitive. Manifesto di eleganza e classe che ha ristabilito le gerarchie del ruolo, portando il Milan sul tetto del Mondo. Come molti brasiliani, la sua carriera si è spenta troppo presto ma le sue prodezze sono ancora stampate nei ricordi di tutti gli appassionati.
La notte che consegnò Kakà alla leggenda
Quando la pioggia comincia a battere fitta su un campo da calcio, torna subito alla mente la notte del 2 maggio 2007. Sotto il diluvio di San Siro, Kakà apre le danze contro il Manchester United, regalando al Milan la finale di Champions. Il brasiliano si lascia andare a un’esultanza commovente sotto la pioggia fitta, quasi purificatrice. Un’immagine diventata subito iconica. La notte che, però, consegna Kakà alla leggenda è quella del 24 aprile, appena due giorni dopo il suo compleanno. Al ‘Teatro dei sogni’ i Red Devils vincono 3-2 la semifinale d’andata ma il 22 brasiliano diventa leggenda con una prestazione quasi onirica. La sua doppietta ancora oggi è negli annali della Champions; in particolare il secondo gol inflitto a Van der Sar, considerato uno dei più maestosi nella storia della competizione: contrasto con Fletcher, sombrero a Heinze, tocco di testa per superare Evra e piatto destro per insaccare in rete. Dentro quel gol c’è tutta la sua essenza: velocità di pensiero, controllo, accelerazione, finalizzazione.
Quella notte lo United vince ma l’Old Trafford si inginocchia al miglior giocatore del mondo. Il ‘Golden boy’ brasiliano riesce a semplificare il gioco. Una qualità innata, sviluppata negli anni, a partire dalla sua prima esperienza al San Paolo. La sua carriera rischia di terminare ancor prima di iniziare. Nel 2000 sfiora la paralisi, dopo aver sbattuto la testa sul fondo di una piscina, rimediando la frattura della sesta vertebra. Credendo fermamente in un intervento divino, da quel giorno decide di ringraziare Dio per averlo salvato. La sua esultanza iconica con le braccia al cielo nasce proprio da quel tragico episodio. Quando il Milan lo accoglie nel 2003 sembra un bambino spaesato. “Non gli avrei dato un euro. Ho pensato, ma chi è un impiegato? Poi ha iniziato a giocare…”, racconta Alessandro Nesta . Per capire la dimensione del suo immenso talento, basti pensare che Rui Costa, allora trequartista del Milan, dopo un mese rivela a Galliani: “Questo ragazzo è troppo più forte di me, devo andar via”.
Il trequartista che arrivava dal futuro
Sarebbe troppo semplice elencare i suoi trionfi; dalla Champions League al Mondiale col Brasile nel 2002, fino al Pallone d’Oro del 2007, l’ultimo prima dell’inizio del binomio Messi-Ronaldo. Per spiegare l’essenza di Kakà, però, basta riprendere le parole rilasciate a ‘DAZN’ di quello che è stato per anni il suo grande maestro, Carlo Ancelotti: “Era arrivato il giocatore moderno, per il calcio del futuro. Ha mostrato a tutti come doveva essere il trequartista moderno, dinamico e che corre forte”. Lo stesso Paolo Maldini ha raccontato il suo stupore nel vedere un ragazzo quasi indifeso, trasformarsi in un leone sul rettangolo verde. Il grande rammarico sta nel fatto che questo talento non gli è bastato ad avere una carriera lunga. Nel 2009 si trasferisce al Real Madrid insieme a Cristiano Ronaldo e Benzema. Doveva essere la consacrazione definitiva ma i numerosi infortuni interrompono il suo fantastico cammino.
Ancora oggi i blancos hanno il rammarico di non aver potuto godere del vero Kakà. Il suo ritorno al Milan nell’estate del 2013 rappresenta un tentativo di ricongiungere ciò che il destino aveva separato. I colpi che aveva offerto nei precedenti anni, però, non si sono mai più rivisti. In molti lo hanno definito un talento perduto, sulla scia di altri connazionali come Adriano e Pato. Il ‘golden boy’, però, ha rappresentato la massima espressione di bellezza su un campo da calcio. La perfezione e allo stesso tempo l’imperfezione di un giocatore che si è sgretolato, arrendendosi ai problemi fisici che hanno cercato di ostacolarlo. L’Italia lo ha accolto nello scetticismo, Milano lo ha adottato e lui ha salito il gradino più alto della ‘Scala del calcio’. In un mondo che corre veloce, è quasi impossibile riuscire a lasciare un segno indelebile, a meno che non ti chiami Ricardo Kakà.