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Lo sport in carcere salva le vite, sia quelle dentro che quelle fuori

Etimologicamente, il termine sport deriva dall’inglese disport e quindi divertimento. Dal latino divergere, “andare lontano, allontanarsi”, ovvero uscire dalla routine quotidiana, svagarsi e ritrovare la propria vitalità. Sport è autodisciplina, uscita dall’isolamento, recupero della salute psicofisica e della lealtà. Concetti chiari, ancora di più in questo periodo di emergenza in cui sentiamo la mancanza di attività sportiva. Forse così, però, avremo più chiaro il valore sociale dello sport in carcere.

John McAvoy, ex detenuto e atleta Ironman britannico

Sport in carcere: da bandito a campione

Il panico da Coronavirus è stato la goccia che ha fatto traboccare un vaso saturo di criticità. La situazione nelle carceri è drammatica, invivibile, disumana: il sovraffollamento rende la gestione dei centri penitenziari preoccupante. Cosa conviene di più alla società e ai detenuti? Mantenere l’attuale situazione disperata e degradante delle prigioni (al punto tale da spingere i detenuti ad evadere alla prima drammatica occasione) o, attraverso lo sport, provare a recuperare chi ha sbagliato? 

Se avessi continuato a rapinare, sarei morto. Lo sport mi ha salvato la vita” racconta John McAvoy. Lui conosce alla perfezione il valore dello sport in carcere. Ex rapinatore e membro di una famiglia di criminali ha trascorso 10 anni dietro le sbarre allenandosi. E’ diventato un professionista dell’Ironman (il thriathlon di nuoto, bici e corsa) ed ha vinto. Ha vinto la sua scommessa con la vita grazie ad un recupero mentale d’acciaio, una resistenza fuori dal comune. Ha un dono: la capacità di soffrire, assorbire il dolore, accettare le sfide, non arrendersi mai. 

L’abbraccio che ti salva la vita

Tutto è iniziato con un programma di fitness punitivo sognando la fuga dal carcere. Migliaia di flessioni, step-up, burpees: si allenava due ore al giorno, in modo ossessivo. Tutto questo lo faceva sentire vivo. Con il vogatore indoor, ottiene il record britannico della maratona di canottaggio e il primato mondiale di distanza remata in 24 ore. Uscito dal carcere passa, di colpo, dall’ambiente dei “cattivi” a quello degli sportivi. Viene accolto, abbracciato, aiutato in palestra, consigliato. Tutto questo gli ha cambiato la vita. Lo Sport, per John McAvoy, non consiste solo nel “potere di concentrarti, di darti obiettivi, canalizzare la tua energia. E’ l’ambiente sportivo… Quando gli atleti di canottaggio hanno scoperto il mio passato, mi hanno abbracciato“. Oggi si allena 4 ore al giorno. “Lo faccio per me ma anche per tutti coloro che hanno creduto in me“.

L’incredibile storia di McAvoy ci insegna molto. Il tempo in carcere non passa mai e deve trascorrere nel migliore dei modi. All’inizio, si pensa all’allenamento come ad una forma di fuga. Poi, col tempo, la passione e la costanza, si impara che quel tipo di fuga è ritrovare se stessi. Si prende coscienza del tempo sprecato a commettere reati con tutta la voglia di riscattarsi. Si comprende il significato di ‘avere una ragione di vita’, mettersi in gioco, avere amici attorno a sé che non ti giudicano e fanno il tifo per te. Non è vita stare fermi in 3 mq di cella. La molla rieducativa dello sport non è ammaestramento: è recuperare la voglia di vivere e cercare nuove strade, nuove chance. Sport è autodisciplina, uscita dall’isolamento, recupero della salute psicofisica, della realtà oltre che della lealtà.

Il valore rieducativo in Italia

A tutto questo servono i vari progetti avviati in Italia come ‘Sport in carcere’, il progetto del Centro Sportivo Italiano di Milano che ha ottenuto il supporto di atleti e campioni come Rino Gattuso, Dino Meneghin, Billy Costacurta e Javier Zanetti. O come il progetto dell’US Acli, che è riuscito a trasformare i detenuti in arbitri. L’arbitro non solo deve conoscere i regolamenti ma deve essere in grado di farli rispettare. Ma sono tanti e diversi i programmi sportivi attuati tramite specifiche convenzioni con organismi nazionali e locali del settore, tra cui CONI, UISP, US Acli, CSI e AICS. Il valore rieducativo e di recupero sociale dello Sport è stato riconosciuto in Italia solo negli ultimi anni ed è stato classificato come uno degli strumenti più idonei per il recupero dei detenuti

In termini di salute psicofisica, lo sport nel carcere serve a combattere depressione, alienazione, claustrofobia, tensione, aggressività, disturbi psicosomatici e della personalità, sintomi allucinatori, sedentarietà e inattività, ad aumentare l’autostima.  A livello sociale serve a recuperare il senso di amicizia, solidarietà, il “gioco di squadra”, a sviluppare l’autodisciplina seguendo le regole, a recuperare valori come la legalità, la lealtà e la cooperazione. Chi ci guadagna non sono soltanto i detenuti ma anche il personale della Polizia Penitenziaria. Ogni giorno, le guardie carcerarie vedono detenuti sfruttare qualsiasi cosa per allenarsi. Lo fanno per mantenersi in forma e per controllare tutta una serie di stati d’animo negativi: depressione, solitudine, rabbia, paura, ansia. Quella della rieducazione attraverso lo sport è una sfida impegnativa. Passa attraverso questi progetti con la consapevolezza che la mentalità da atleta si può costruire o accrescere anche in carcere. 

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