Nike e No League quando lo sport ha un valore sociale

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A Milano, nell’area di Gorla, zona multietnica dove spesso ci sono problematiche sociali e economiche, c’è il cuore pulsante del progetto No League che collabora con Nike.

Weekend di sfide per i ragazzi di No League. Ph Credit: albertofeltrin.com

Il connubio Nike e Milano No League: l’impegno dell’associazione

Lo sport ha un potenziale immane, non è infatti solo mera attività fisica. Nike, brand di sportswear, cerca da anni di diffondere tutti i valori che sono sottesi alla dimensione sportiva, generando community consapevoli. Su questi principi si basa la collaborazione con NoLeague, progetto educativo e sportivo, che questo weekend ha organizzato al Centro Sportivo Cameroni di Milano (a Gorla) una due giorni di tornei.

Insieme alla competizione c’è stato spazio per workshop per la creazione della nuova divisa del futuro e per un panel di confronto con Valentina Bergamaschi. L’iniziativa, coordinata dall’ASD Sportinzona Melina Miele e da Uisp Milano, è nata nel 2010. A promuoverla l’intraprendenza di alcuni educatori e associazioni che hanno promosso l’attività sportiva sul territorio e che conta ad oggi oltre 2000 ragazzi.

Giovani, dai 6 ai 21 anni, che arrivano da contesti complessi e non semplici (spesso anche rifugiati) e che non sempre hanno avuto le possibilità economiche di poter praticare sport. L’impegno di No League si dirama con No League Social Games, ovvero un campionato di calcio per medie e superiori e uno di volley per le ragazze, che coinvolge 10 quartieri e centri di associazioni che strutturano le squadre.

Poi, c’è il no League Gorla il centro nevralgico dove si svolgono gli eventi, che vuole essere una base operativa per tutte le iniziative future e che ha riportato in auge il campo abbandonato dopo il fallimento di una scuola di calcio. Grazie al lavoro fatto i ragazzi imparano a comportarsi, a rispettare gli altri e a divertirsi.

I giocatori in erba sono abituati a non pensare solo al gioco ma a essere protagonisti di ‘momenti ad hoc’. C’è “tempo zero”, quando tutti i ragazzi ed educatori si mettono in centro prima di match con allenatori e arbitri. Un cerchio simbolico dove tutti sono uguali e dove gli educatori ricordano cosa significhi essere squadra. Poi c’è il terzo tempo, un po’ come avviene nel Rugby: non esistono avversari c’è solo convivialità e aggregazione.

I ragazzi di No League con Valentina Bergamaschi, calciatrice del Milan. Ph Credit: albertofeltrin.com

L’esempio di Valentina Bergamaschi, quando lo sport insegna ed educa

A sposare il progetto e tutto il significato che c’è dietro anche una giocatrice della Nazionale e del Milan Valentina Bergamaschi. La sportiva ha mosso i primi passi nel mondo del pallone dopo un problema di salute e con reverenza e quasi timore ha chiesto ai suoi di poter fare calcio. “Ho iniziato per pura passione e poi ho preso coraggio nel dire che volevo praticare questa attività. Sapevo che veniva visto solo come un qualcosa di prettamente maschile. Ho avuto dei genitori che hanno sempre assecondato le mie scelte e che mi hanno sempre detto che contava che fossi felice. Da lì ho preso consapevolezza, certo, le critiche non mancano mai… ma dico soprattutto alle bambine che si approcciano al calcio di continuare a sognare perché le rivincite sono tantee lo stiamo vedendo”.

Ha iniziato a dare i primi calci al pallone in oratorio, come succede a molti, in un contesto dove quindi certi valori vengono subito impartiti: “L’insegnamento più grande che ho appreso dal calcio è relazionarmi con gli altri nella maniera più pura possibile. Il calcio mi ha insegnato a essere, una donna con dei valori. Lo sport aiuta nella vita di tutti i giorni, quello che faccio in campo poi lo faccio anche nella vita di tutti i giorni, comunicare e stare con gli altri e confrontarmi”.

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