L’Italia non è un paese per stadi (nuovi)

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L’età media dei nostri stadi è 68 anni. Così, se la casa di un tifoso è vetusta, la sua esperienza ne risulta compromessa. E se la struttura è importante, a contare parecchio è anche l’experience in generale: sono molti gli elementi che dovrebbero cambiare, insieme agli stadi

Stadi italiani e criticità strutturali

Gli stadi italiani sono mediamente vecchi. Hanno un basso livello di manutenzione, una qualità visiva pessima e una partecipazione di pubblico nettamente inferiore a quella di paesi come la Germania e l’Inghilterra. È quanto emerge dal volume ”Il futuro degli stadi in Italia”, nato da un’iniziativa promossa dalla Lega Serie A e realizzato su progetto, tra gli altri, di Luigi De Siervo.
Ciò che è emerso è che l’età media dei nostri stadi è di 68 anni. In Germania l’età media è di 38 anni, in Inghilterra di 35. Vuol dire che i nostri stadi sono vetusti e inadeguati. L’inadeguatezza è espressa in termini di criticità strutturali. Innanzitutto molti stadi in Italia hanno ancora la pista di atletica leggera intorno al campo di calcio. Questo fa sì che i tifosi siano molto lontani dalle azioni di gioco. La distanza fra il pallone e il tifoso può arrivare a 180 metri e questo condiziona enormemente la qualità dello spettacolo visivo.

Inoltre, a livello architettonico, molti stadi italiani non hanno la copertura di tutte le gradinate e questo espone i tifosi alle intemperie. Così accade che 13 stadi su 20 delle squadre di serie A, vengono utilizzati soltanto 20 volte l’anno. Una distanza siderale con le strutture tedesche o inglesi che sono attivi e fruibili 365 giorni l’anno. Considerando l’età avanzata delle strutture e la carente manutenzione di quelli di pubblica proprietà, la questione diventa ancora più cruciale. Marco Sansoni, ex manager FIFA, fondatore dell’XID GROUP e da anni promotore della cultura-fancentrica nello sport business spiega cosa renderebbe uno stadio degna casa di un tifoso. “Gli stadi non sono ‘isole’, gli spettatori non arrivano da e non ricadono in un buco nero. L’allineamento operativo, l’integrazione con i servizi forniti dalle città ospitanti sono ancor più importanti dell’infrastruttura stadio. Un ottimo servizio l’infrastruttura se la mangia per colazione. A modello andrebbero presi competitori come i parchi a tema Disney e le compagnie di navi da crociera (Nowegian è il top), oltre a Tomorrowland, Rock in Rio, piuttosto che l’NBA (sempre 1 passo avanti a tutti) e la F1” sostiene Sansoni.

Dalla struttura all’experience

Ma non è l’unico dato che fa riflettere. Ce n’è un altro significativo. Gli stadi di proprietà dei club, o con una lunga concessione d’uso, sono il 24% considerando le squadre di serie A e di serie B. In Germania e in Inghilterra sono oltre l’80% in entrambi i casi. Ciò significa che all’estero più che in Italia gli stadi sono patrimonio delle squadre. La conseguenza di tutto ciò è che la partecipazione del pubblico alle partite è minore in Italia. Quella che in inglese si dice engagement; un concetto caro agli inglesi, tanto che nella Première si è parlato di introdurre degli standard di fan engagement. Si passa così dal parlare di strutture a parlare di esperienza.

A questo proposito, Marco Sansoni spiega una differenza sostanziale. “Prima dell’engagement va migliorata l’experience. Perché mentre possiamo affermare che l’experience aiuta l’engagement, non possiamo fare lo stesso per il contrario. L’engagement non può migliorare l’experience, anzi, un’eccessiva promozione può creare disastri” spiega. “Quello che serve, in Italia come altrove, nel calcio e in tutti gli altri sport, è una sana cultura fan-centrica: mettere la fanbase, insieme agli atleti, al centro delle decisioni strategiche. Per fare ciò, è assolutamente necessario un intervento a livello strutturale nelle organizzazioni sportive” ha poi aggiunto.

ROME, ITALY – SEPTEMBER 18: AS Roma fans during the Serie A match between AS Roma and Atalanta BC at Stadio Olimpico on September 18, 2022 in Rome, Italy. (Photo by Fabio Rossi/AS Roma via Getty Images)

Un esempio virtuoso: la Roma

Quindi, in Italia, insieme all’antichità (per usare un eufemismo e non osare con vecchiaia), degli stadi, c’è anche una minore partecipazione. Ma ci sono delle mosche bianche, voci fuori dal coro come quella della Roma, secondo quanto sostiene Sansoni. “Al netto dei risultati, la Roma fa 30 sold out di seguito.” C’è l’effetto Mourinho e Dybala però. “C’è anche una strategia olistica applicata alla fan experience, dove tutte le sue componenti sono state in qualche modo migliorate negli ultimi anni e questo ha contribuito al raggiungimento di tali risultati in termini di presenza media di pubblico all’Olimpico“. Quando si parla di miglioramenti ci si riferisce alle componenti sotto il diretto controllo della società, perché ad esempio il bar all’interno dello stadio è qualcosa che riguarda il CONI.

E in che modo una società come quella giallorossa ha migliorato l’experience? “Ha introdotto elementi esperienziali come i vari inni prima della partita, la fanzone, le luci, elementi di intrattenimento pre-gara. Ha raggiunto un ottimo livello in ambito engagement con un’attività iniziata nel 2015 con Paul Rogers, a partire dai social media, ai vari sondaggi aperti al tifosi – cosa mai fatta prima – ma anche campagne missing children. E poi le tante attività sul territorio con Roma Cares. Infine, ultimo ma non per importanza ha lavorato con i partner per migliorare il livello di servizi: il parcheggio disabili, partnership car/moto sharing, puntando molto anche su un’ottimo servizio di business hospitality.



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