Home CURIOSITÀ Giro d’Italia, quanti ritiri. Troppo pericolo o non si vuole più faticare?

Giro d’Italia, quanti ritiri. Troppo pericolo o non si vuole più faticare?

Dal 1909 ad oggi, com’è cambiato il Giro d’Italia tra ritiri, pressioni degli sponsor, itinerari e quella sana fatica tanto osannata dal pubblico? Nell’ultima edizione, dei consueti 176 ciclisti allo start, solo 125 sono giunti alla passerella conclusiva romana. Alluvioni, tempeste e meteo avverso hanno sconvolto il Giro.

Corridori in discesa, sotto una pioggia torrenziale, durante l’ultimo Giro d’Italia (fonte Italciclismo)

Un’edizione estrema o in sella non si vuole più soffrire e faticare?

Ha vinto Primoz Roglic che, a 33 anni, impreziosisce una carriera ricca di successi. A fare scalpore, tuttavia, aldilà del trionfo dello sloveno, sono i tanti, troppi, ritiri che hanno caratterizzato l’intero Giro d’Italia. Su 176 ciclisti, partiti dal Comune di Fossacesia, solo 125 sono giunti a Roma per la passerella conclusiva. Ben 51 ritiri tra infortuni, cadute, influenze, raffreddori ‘quasi da ricovero’ e forfait vari. Insomma, per dirla alla Totò: “Una moria delle vacche”. Era da parecchio che non si vedevano così tanti abbandoni. Per intenderci, nell’edizione 2022 solo 27 ritiri. Ma perché in questo 106° Giro così tanti ciclisti hanno abbandonato la contesa? Oltre a imprevisti e cadute, le cause principali sono legate alle condizioni meteo. Nelle ultime settimane, infatti, sull’Italia (in particolare al Centro), si sono abbattute tempeste, alluvioni e bombe d’acqua impressionanti. L’intero quadro ha condizionato e inficiato non poco corse e prestazioni. Le prime sette tappe sono state disputate sotto una pioggia tagliente.

Temperature invernali e asfalto quasi mortale. Con queste premesse, affrontare centinaia di chilometri, discese, salite proibitive e cadute, costringe il fisico ad uno sforzo titanico. Ha fatto discutere soprattutto il ritiro del campionissimo Evenepoel. Il belga ha abbandonato con indosso la maglia rosa. Era un ‘super-favorito’. Sul comunicato ufficiale, la motivazione è ‘ritiro per positività al covid’. Con la pandemia debellata e lo stato d’emergenza ritirato dall’OMS, in pochi ci hanno creduto. La verità? Non ce l’ha fatta a proseguire. Comprensibile dopo 2 cadute in 5 giorni, riportando diverse contusioni. Gareggiare in condizioni così tremende, va ben oltre la nostra comprensione, che guardiamo i ciclisti dal divano. Evenepoel stesso lo ha poi confermato: “Non sono un robot, sono umano”. Allora gli atleti non sono più disposti al sacrificio? Difficile dirlo, ma se un ciclista decide di ritirarsi da una competizione come il Giro, significa che nei giorni precedenti ha sofferto, pianto sudore e stretto i denti fino all’estremo per scongiurare quella ipotesi. Il ritiro è la decisione ultima di chi non riesce più a proseguire.

La forte nevicata durante la Tappa del Passo Gavia, tanti ritir a quel Giro d’Italia 1988

Com’è cambiato il Giro d’Italia: dal ciclista eroe ai troppi ritiri di oggi

Qual è il confine tra lo spettacolo per gli appassionati che seguono le tappe e la pedalata di un ciclista con la febbre, che sta cercando a tutti i costi di non ritirarsi? L’autodistruzione di un atleta è la formula vincente per appagare il desiderio di svago dei tifosi? Il fulcro è questo. Il Giro d’Italia è cambiato, non ci sono più le infinite battaglie sul Terminillo sotto tre metri di neve o gli arrivi in salita con Fiorenzo Magni che pedala senza camere d’aria, come racconta la mostra al Museo di Roma in Trastevere. Non c’è più il ‘ciclista da Paese’, che il giorno prima della tappa fa riscaldamento tra vicoli e piazze. È tramontata la raggiungibilità dell’atleta, che si fermava a salutare bambini e appassionati. Tutto questo non deve significare che il ciclista di oggi non sa faticare o non è pronto a soffrire. Le polemiche e il fango lanciati sui ‘pedalatori’ che nelle scorse settimane si sono ritirati dal Giro, lasciano il tempo che trovano.

L’atmosfera eroica, che circondava il ciclismo di 40 anni fa, annebbia la percezione odierna di questo sport. I metri di paragone sono diversi, la preparazione atletica è differente, i tracciati sono cambiati. La società stessa si è evoluta. La tecnologia è progredita, gli schieramenti hanno acquisito un’importanza maggiore ed il tatticismo svolge un ruolo decisivo. Niente più tappe come quella del ’56 o del 1988, quando una gelida nevicata trasformò la gara in ‘sopravvivenza’, con il direttore Torriani che esclamò: “I ciclisti devono soffrire, lo spettacolo deve continuare”. Oggi, i tifosi dovrebbero comprendere che, per un ciclista, il ritiro non è un escamotage per evitare sacrificio e fatica, viste anche le tante pressioni di sponsor e contratti, ma una sconfitta. Calzano a pennello le dichiarazioni di Adam Hansen (Presidente CPA) dei giorni scorsi: “Se un ciclista si ritira per influenza al Giro d’Italia, so che quell’atleta avrà corso con quell’influenza per giorni, lottando e soffrendo in modi che non sono visibili dalla TV. Il ritiro significa aver superato tutti i limiti possibili, è una resa totale”.

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