Non saranno solo i ragazzi delle nazionali, i protagonisti olimpici dei tornei di pallavolo e beach volley. A Tokyo sbarcheranno anche due arbitri italiani attualmente al top a livello internazionale. Daniele Rapisarda e Davide Crescentini sono rispettivamente arbitro di pallavolo e beach, designati per le olimpiadi 2020. Il loro percorso è stato lungo e non privo di difficoltà. Ci hanno raccontato la loro vita da arbitro e come si vede la pallavolo dall’alto del seggiolone.
Attività degli arbitri di pallavolo
Abbiamo incontrato i due arbitri internazionali per far luce su un argomento che spesso rimane in ombra nel modo di raccontare lo sport. Anzi, più che un argomento possiamo parlare di un’intera categoria. Citati più per critica che per elogio, gli arbitri sono però dei grandi appassionati di sport. “Prima di fare il corso – racconta Daniele Rapisarda, classe 1968 – ero un giocatore di pallavolo. A 18 anni ho subìto un infortunio che mi ha tenuto fuori dal campo. Allora decisi di fare il corso arbitrale per tirare su due soldi e non allontanarmi del tutto dalla pallavolo. L’idea era di smettere appena mi fossi ripreso: non ho più ricominciato a giocare.”
Davide Crescentini, invece, è figlio d’arte: “mio padre arbitrava la pallavolo, quindi mi è venuto naturale fare il corso a 16 anni. Ho iniziato con il volley, per poi passare alla sabbia. Il beach volley degli anni ‘90 era in ascesa e l’ambiente mi attraeva molto.” La differenza tra pallavolo indoor e quella da spiaggia, non è solo di regolamento: “L’approccio alla gara e i rapporti con i giocatori sono diversi. Mentre l’arbitro di pallavolo fa una gara alla volta all’interno di un campionato, i tornei di beach si svolgono diversamente: è facile arbitrare più partite nella stessa giornata e di ritrovare gli stessi giocatori a poche ore di distanza.”
La vita di un arbitro
Siamo abituati a sentirci un po’ tutti arbitri e giudici. Soprattutto il lunedì, davanti a un caffè commentando i risultati della domenica: calcio, pallavolo, basket, non fa differenza. “Un arbitro di beach volley – ricorda Crescentini, già arbitro azzurro a Rio 2016 – passa molte ore all’aperto, sotto il sole o con la pioggia. Ore di partite in cui deve rimanere concentrato: per me la preparazione fisica è importante tanto quanto quella tecnica.” Mentre lo intervistiamo, Davide ha una copia del regolamento nel suo zaino. “Ogni occasione è buona per ripassare il regolamento. Siamo sottoposti a continui test, aggiornamenti ed esami, oltre all’obbligo dei raduni.”
Gli impegni sono tanti anche fuori dal campo. “La preparazione è continua – conferma Daniele Rapisarda – ma per noi non è un sacrificio. Passati i 50 anni, posso dire che arbitrare mi ha insegnato tante cose, non solo il regolamento.” Al termine delle 18 ore di corso e superato l’esame, un arbitro (spesso ancora adolescente) si trova a gestire le sue prime gare. Questo vuol dire essere l’autorità di riferimento per i giocatori, gli allenatori, i dirigenti sportivi e gli spettatori. “Arbitrare mi ha aiutato – continua Rapisarda – a vincere la timidezza e non solo. Impari a metterti nei panni dell’altro, a prendere decisioni veloci e assumerti le tue responsabilità. Anche la preparazione e lo sport stesso assumono un altro peso e tutt’altra prospettiva.”
Il rapporto con gli atleti
Che sia giovane o già maturo, un arbitro ha sempre a che fare in prima persona con gli atleti. La prima cosa da imparare quindi, è come rapportarsi con ragazzi che giocano per vincere. “Il rapporto con i giocatori è fondamentale“ secondo Daniele Rapisarda. Questa consapevolezza è venuta con il tempo, soprattutto in ambito internazionale. “Quando mi chiamarono come arbitro internazionale, la FIVB (la federazione internazionale di pallavolo n.d.r.) ci voleva di marmo: l’arbitro non doveva avere nessuna emozione. Eravamo portati a essere il più impersonali possibile.” Oggi che conosciamo meglio il valore della comunicazione, gli arbitri sanno che “il colloquio con le squadre, quando è costruttivo, serve a calmare gli animi.”
Oggi l’esperienza e il divertimento dello spettatore sono al centro. “Se un giocatore è teso e viene da me per protestare, io lo faccio parlare” spiega Davide Crescentini: “gli spiego la mia decisione, sa che difficilmente cambierò idea, però mi vede recettivo, si sfoga e il gioco continua.” Visto il numero di giocatori, l’ambiente e lo spirito del gioco, nel beach volley il percorso è stato inverso. “Negli anni ‘90, ai giocatori era concesso quasi di tutto e si perdeva un sacco di tempo. Anche gli arbitri erano visti meno da professionisti: spesso ci fermavamo a chiacchierare con i giocatori prima o dopo le partite. Da Atene la musica è cambiata, FIVB ha cercato di omologare, oltre al regolamento, anche l’atteggiamento degli arbitri che ora sono chiamati a gestire la gara in equilibrio tra emozioni e regole. Cerchiamo di avere un atteggiamento amichevole, rimanendo professionali.”
Aiuto tecnologico: pro e contro per un arbitro
Un altro tema capace di mettere a ferro e fuoco un bar il lunedì mattina è la moviola. Si chiamava così una volta. Var, Video Challenge, occhio di falco: qualunque sia il suo nome, la tecnologia in campo sta cambiando molti sport. Nella pallavolo, il sistema del Video Challenge è stato inserito ormai da diversi anni. Pur con delle differenze tra i campionati nazionali e le gare internazionali, la tecnologia per Daniele Rapisarda “è sempre un valore aggiunto. Permette all’arbitro di avere una rete di sicurezza dove atterrare in caso di errore.” Nel volley, poi, la richiesta del check è affidata (anche) alle squadre: “questo ha responsabilizzato giocatori e allenatori che ora misurano sia le proteste che le richieste di review.”
A Rio 2016, il video challenge è stato inserito anche nel beach volley. “Io sono solo contento quando c’è – ci conferma Davide Crescentini -, anche se nel beach sono ancora poche le gare con questo tipo di tecnologia. Per l’arbitro è uno strumento in più: se ti da’ ragione fai bella figura, se ti da’ torto ne guadagna la gara stessa.” L’importante è sapere gestire sia la tecnologia che il peso che può avere all’interno di gare importanti. “La presenza del video check smorza certe tensioni ad alti livelli, migliora la relazione con gli atleti che vivono certi episodi con più serenità.” In entrambi i casi, sia Rapisarda per l’indoor che Crescentini per il beach, gli arbitri sono d’accordo sul fatto che “il video challenge aumenta la competitività: arbitri, giocatori e allenatori sono chiamati a dare il loro meglio.”