Il giorno che nessun amante del calcio, e dello sport in generale, avrebbe mai voluto che arrivasse, è ufficialmente qui. A 82 anni, all’Ospedale “Albert Einstein” di San Paolo, si è spento Edson Arantes do Nascimento, al secolo Pelé. O se volete O’ Rey do futebol.
Il ricordo
Il suo nome era tornato d’attualità proprio in questi giorni e non solo per la malattia. La vittoria al Mondiale di Messi aveva messo gli esperti di calcio di fronte ad un enorme, esistenziale e quanto mai inutile quesito: “Chi è il miglior calciatore di sempre?”. Sul tavolo 3 nomi, facciamo 4 (per completezza di informazione e per non far arrabbiare nessuno): Messi, Maradona, Cristiano Ronaldo e Pelé. Il primo con il successo in Qatar, è quello più gettonato. Insieme al Dios, suo amico e connazionale che dall’alto ha vegliato sulla vittoria del popolo argentino, sembra quasi avere un privé tutto suo. Situazione totalmente opposta per il portoghese che dopo il flop Mondiale e non solo, è stato ripudiato anche da chi ne ha ancora il poster in camera. Poi c’era lui, la Perla Nera.
Su Pelé gli argomenti di conversazione non sono mai stati tanti. Chi lo ha visto ne parla quasi come un cane a tre teste. Un mostro venuto da lontano che invece di voler colonizzare la terra, ha scelto di deliziare l’intera umanità con la palla ai piedi. Chi però non lo ha visto, percentuale sempre più crescente nella popolazione, si è solo adagiato su questi ricordi (tra l’altro prendendoli in considerazione solo in minima parte), pensando che di prove tangibili non ce ne fossero. “Pelé giocava senza fuorigioco”, esclamava qualcuno: “A quei tempi non c’erano i difensori di oggi”, gli faceva da eco un ragazzo che nella discussione c’entrava poco, e con il calcio ancora meno. La realtà è diversa. Le tracce del passaggio sulla Terra di Pelé ce ne sono e spoiler: non era un alieno. Anche se a sentire Cesar Luis Menotti, ct campione del Mondo nel 1978, qualche dubbio ci verrebbe anche: “Pele o Maradona? La pantera è di un altro pianeta, lasciamolo fuori. Ma Diego col pallone ha fatto cose incredibili”.
Le gesta
A 16 anni dall’Atlético Clube Bauru, squadra dove ha mosso i suoi primi passi, passa al Santos. Il padre, Dondinho (anche lui calciatore), insieme alla consulenza esterna di Waldemar de Brito (calciatore negli anni ’30/40) decide che per lui è arrivato il grande passo. Basta fare il lustrascarpe per aiutare la famiglia in difficoltà: è un fenomeno e deve avere la sua occasione. Del provino con il Santos poche tracce tangibili ma la sua presenza fissa in squadra a soli 16 anni fanno pensare che tutto sommato, fosse andato discretamente bene. Prima stagione in prima squadra, titolo di capocannoniere. Dieci mesi più tardi il primo contratto e la prima partita in Nazionale (in gol contro l’Argentina). Poi la conseguente vittoria del Mondiale di Svezia 1958. Gol nei quarti di finale, gol in semifinale, doppietta in finale contro i padroni di casa. Non aveva nemmeno 18 anni e aveva già il mondo ai suoi piedi. Nel ’62 il bis, anche se con presenza e marginale, visto l’infortunio alla prima che gli è costato l’intero torneo.
Al Mondiale del’66, la corrida inglese ne ha compromesso il cammino (Brasile fuori ai gironi). Nel 1970 invece, l’exploit. Simile a quello di Messi o a quello immaginario di Ronaldo. A 30 anni si pensava che il meglio fosse già arrivato. Mai errore fu più madornale. Brasile campione per la terza volta in quattro anni e l’immagine di Pelé consegnata per sempre alla storia del calcio. Parlare delle sue gesta nei Mondiali sarebbe però un esercizio di stile. Gran parte della critica non lo prende in considerazione perché giocava “solo nel Santos” ma in quegli anni la squadra brasiliana dominava su ogni campo in cui andava. E non parliamo di Botafogo o River Plate. Nel 1962 e nel 1963, il Santos si laurea per due volte campione del Mondo vincendo la Coppa Intercontinentale contro il Benfica di Eusebio e il Milan di Maldini, Altafini e Rivera. I numeri di Pelé? Tre partite, 7 gol.
La leggenda
La leggenda di Pelé resterà per sempre. Il calcio è cambiato grazie a lui. Ha trasformato il semplice gioco in arte, elevandone la bellezza tecnica e il fascino. E’ il primo della infinita catena di numeri 10 brasiliani. Un po’ come nella bibbia: “Il Brasile generò Pelé, che generò Jairzinho, che generò Ronaldinho, che generò Neymar” e così via. Ha fatto per primo ogni singolo “giochetto”, skill, trick (usate il termine che volete) che vediamo ancora oggi. Se ogni bambino sogna di indossare la maglia numero 10, se quella maglia è sinonimo di intelligenza, estro, virtù: è grazie a lui. Non è stato un innovatore solo dentro il campo, Pelé è stato anche il primo calciatore-icona. Vendeva tutto tutto, ma veramente tutto.
Dalle pubblicità con Subway al celebre “Café Pelé”, passando per film, video, canzoni e alla ricca parentesi americana con il New York Cosmos dal ’75 al ’77. Era un’autentica macchina da soldi. Il suo sorriso era smagliante, il suo fascino irresistibile e con la palla al piede era qualcosa di mai visto prima. Era pure magia. Le mogli lo volevano come amante, le figlie come fidanzato e i padri come fidanzato per le proprie figlie. Tutti volevano un pezzo di Pelé, anche se la fama negli anni gli è costata anche cara. Pelé ha però prima di tutto cambiato il suo Paese, perché essere prima di lui, essere nero in Brasile non era affatto una cosa semplice.