Home CURIOSITÀ Serie A e Bundesliga: due modi opposti di essere arbitro

Serie A e Bundesliga: due modi opposti di essere arbitro

Credits: DAZN DE

Sascha Stegemann, direttore di gara tedesco, ha commesso un errore che potrebbe essere determinante per l’assegnazione del titolo. L’arbitro si scusa pubblicamente e chiarisce l’episodio. Cosa sarebbe successo in Italia?

Credits: AIA

Il caso del rigore non concesso per cui l’arbitro si scusa e altri episodi che hanno fatto discutere

Sascha Stegemann arbitra Bochum VS Borussia Dortmund. La partita finisce 1 a 1 e con un pareggio il BVB lascia due punti determinanti nella lotta al primo posto con il Bayer Monaco (che è primo con un punto in più). A metà del secondo tempo il direttore di gara commette una svista clamorosa, negando un rigore agli ospiti. Dalla sala VAR nessun intervento. Il replay è chiarissimo: il difensore atterra il giocatore avversario senza neanche preoccuparsi della palla. Rivedendo le immagini Stegemann non può far altro che ammettere l’errore e scusarsi pubblicamente. Inoltre, addossa a sé tutta la responsabilità, assolvendo il collega al VAR. Questo succede in Germania, dove l’arbitro, a fine partita, può confrontarsi con la stampa e rilasciare dichiarazioni. Attenzione però: il giorno dopo arrivano minacce di morte a lui e alla famiglia.

L’episodio ci riporta alla mente tanti spunti provenienti dal campionato italiano ma anche da competizioni internazionali. Al bar ancora si parla del tocco con le mani di Rabiot in Inter – Juventus il 20 marzo scorso. Quando sul gol di Kostić, cha consegna i tre punti ai bianconeri, nessuno è intervenuto per annullare la rete. Molto recente e contestato anche il caso in Champions, in occasione del gol del pareggio di De Bruyne in Real Madrid – Manchester city. Pare che la palla sia uscita dal campo durante un’azione precedente. Anche stavolta il VAR non si pronuncia. Questi sono solo alcuni esempi di polemiche che ormai ogni giorno alimentano il lavoro di opinionisti, tecnici e giornalisti. In Italia queste polemiche restano in fibrillazione e, al contrario di quanto successo in Germania con Stegemann, nessuna “fonte ufficiale” chiarisce la questione e nessun arbitro si scusa.

Credits: Instagram Arbitrino

Le norme dell’AIA impongono il silenzio. Protezione o innovazione?

Agli arbitri è fatto divieto di rilasciare interviste a qualsiasi mezzo di informazione o fare dichiarazioni pubbliche in qualsiasi forma, anche a mezzo siti internet, articoli di stampa, attività e collaborazioni giornalistiche o la partecipazione a gruppi di discussione, posta elettronica, forum, blog, social network o simili, che attengano le gare dirette e gli incarichi espletati da ogni associato, salvo espressa autorizzazione del Presidente dell’AIA” così recita il regolamento dell’Associazione Italiana Arbitri (AIA) a pag. 41. Gli arbitri italiani, dunque, non possono comportarsi come Stegemann non perché manchi loro l’umiltà bensì perché così prevede il regolamento. Lo sa bene Alessandro Iuliano, noto con il nickname di “arbitrino“, che ha provato a spiegare gli episodi arbitrali più controversi da un punto di vista tecnico tramite dei video su TikTok. Risultato: squalifica per due anni e tanti saluti alle innovazioni comunicative.

L’AIA si mostra molto rigida a proposito del suo regolamento e non sembra voler fare passi verso il ricambio generazionale dei propri associati e soprattutto del proprio pubblico adottando una scelta conservativa. Lo fa per proteggere sé stessa e la propria forza autoritaria indiscutibile ma lo fa anche per proteggere al massimo gli arbitri, vittime di continue pressioni. Stegemann è infatti responsabilizzato al massimo dai vertici tedeschi, tuttavia, questo non giustifica le minacce reali che ha ricevuto e dalle quali deve essere protetto. Il modo di vivere e comunicare il calcio deve quindi cambiare, non solo per gli organi preposti ma anche per i tifosi che dovrebbero vedere il lato umano e per sua natura imperfetto, dell’arbitro che si scusa. Non c’è VAR o intelligenza artificiale che possa cambiare questo.

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