Home NEWS Il calcio in lockdown ha dimostrato di non voler essere uno sport

Il calcio in lockdown ha dimostrato di non voler essere uno sport

Lo ammettiamo, il titolo potrebbe essere ridondante. Alcuni diranno che non è poi una vera notizia, lo sapevamo già. Altri grideranno allo scandalo, sottolineando che il calcio non è solo la serie A. Ma quello che fino a qualche mese fa era un claim degli scettici, dei ‘non calciofili’ o ‘anticalcio’, in questi mesi di calcio in lockdown è emerso in tutta la sua chiarezza. Ritardi decisionali, tira e molla continui, l’assoluta incertezza del come e quando riprendere il campionato. Persino negli organi federali, non solo nei vertici dei club, il calcio non è più trattato da sport.

Quando il calcio ha chiuso serranda

Dal 9 marzo, data in cui sono state ufficialmente sospese tutte le manifestazioni sportive, calcio compreso, è iniziata una fervida attività. Mentre calciatori e staff tecnico se ne stavano a casa, dietro le quinte della serie A hanno continuato a lavorare le maestranze. Nelle stanze di Lega e Federcalcio i presidenti si sono dati battaglia, mentre sui giornali usciva ogni giorno una dichiarazione diversa. L’obiettivo dichiarato da tutti sarebbe quello di riuscire a terminare il campionato assegnando così titoli, promozioni e retrocessioni.

Il contrario di ciò che è stato fatto in molti altri sport. La pallavolo, ad esempio ha da prima interrotto e poi definitivamente sospeso il campionato. L’esempio del volley non è fatto a caso: le nostre Nazionali (femminile e maschile) avevano già staccato il biglietto per Tokyo e avrebbero vissuto il finale di stagione pensando al torneo più prestigioso. I giochi olimpici sarebbero iniziati il 25 luglio e terminati il 9 agosto. Il termine ultimo stabilito dalla UEFA per concludere i campionati di calcio è il 3 agosto. Quindi nel periodo in cui avremmo assistito alla competizione sportiva più importante al mondo, ci accontenteremo di un Cagliari-Torino che non aveva niente più niente da dire già a marzo.

Paolo dal Pino (Lega Serie A) e Giovanni Malagò (CONI)

Il Calcio in lockdown

Dopo la serrata del carrozzone di serie A, come era prevedibile, hanno iniziato a fioccare notizie di giocatori positivi al Covid-19. Sampdoria, Juventus, Milan, Fiorentina hanno tutte avuto casi sia nello staff che tra i calciatori. Per i primi giorni di calcio in lockdown, oltre all’immagine di Caputo, era tutto un tripudio di StiamoACasa e dirette dei calciatori su Instagram. Fin da quei giorni però, ci si domandava se e come fosse possibile riprendere a giocare. Mentre alle 18:00 di ogni giorno, il Paese si incollava alla televisione per avere aggiornamenti sul numero dei morti, per il Presidente FIGC Gravina: “la priorità è terminare i campionati entro l’estate, senza compromettere la stagione 2020-21. Non possiamo permetterci un’estate piena di contenziosi sul profilo procedurale e legale”.

Non era ancora terminato marzo quando il presidente federale parlava così a Radio Cusano. Ma non è solo nel governo del calcio in lockdown a esserci confusione e scarsità decisionale. A stretto giro, sono UEFA e FIFA a dettare una bozza di linea: c’è tempo fino al 3 agosto per mettere in regola i campionati e i contratti dei calciatori avranno valenza almeno fino al 30 luglio. Ogni decisione viene però demandata alle singole federazioni, vincolate dalle disposizioni dei governi nazionali. In soldoni, il governo europeo del calcio si è comportato un po’ come il resto d’Europa, lavandosi (bene) le mani e lasciando libero sfogo agli interessi di Leghe, federazioni e club.

Gabriele Gravina, presidente FIGC

La UEFA spinge in avanti

Mentre alcuni speravano nell’intervento degli organi continentali, per poter finalmente dichiarare chiuso il campionato, l’apertura della UEFA ha lasciato invece libero sfogo a chiunque volesse dire la sua. A partire dallo stesso presidente del calcio europeo, Aleksander Ceferin, che un giorno dichiarava che “esiste la possibilità che non si ritorni a giocare. Dipende dai governi” e il giorno dopo si diceva “ottimista e fiducioso, la Liga sarà portata a termine così come la Serie A”. Ecco, speranze, illusioni, ottimismi e una fede incrollabile: mai nessuna dichiarazione che fosse avallata da fatti, intenzioni serie o decisioni sicure. Intanto, però, il nodo da risolvere è quello dei calciatori e dei contratti.

Daniele Muscarà è un avvocato, membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Avvocati dello Sport (AIAS) e sta seguendo direttamente molte vicende legate al calcio in lockdown. Ma non solo. “Non si può negare – ci dice – che dietro lo stop o l’annullamento del campionato ci sono e ci sarebbero danni economici molto elevati. Non solo i diritti di prestazione sportiva (i contratti dei calciatori ndr) ma anche i diritti televisivi, i contratti di sponsor, gli affitti delle strutture sportive, gli stipendi di staff e lavoratori.” Come molti, anche lui non può dirsi certo che il campionato potrà continuare ma delle simil-certezze ci sono.

Aleksander Ceferin, presidente UEFA

Come riapre il calcio dal lockdown?

Intanto la data del 18 maggio indicata da Conte per la ripresa degli allenamenti di gruppo. Poi il 3 agosto come termine ultimo per la fine dei campionati, da quella data la UEFA pensa di poter concludere le coppe continentali”. Una corsa contro il tempo in cui far rientrare gli allenamenti, le dodici giornate di serie A ancora da disputare e le dieci di serie B. “La FIGC ha già presentato un suo protocollo – ci dice ancora Muscarà – che però è stato rigettato da governo e comitato scientifico che lo ha giudicato incompleto. Tutte le componenti lavorano proprio per rendere il protocollo applicabile in vista del probabile ritorno agli allenamenti collettivi“.

Il documento della federazione prevederebbe diverse fasi per il rientro dei calciatori. Nelle prime due settimane, allenamenti individuali o in piccoli gruppi con squadre e staff divisi tra guariti da malattia conclamata, guariti da malattia lieve e non infetti. Le squadre dovranno essere sottoposte a ritiro nelle proprie strutture o in alberghi. Stanze singole con bagni privati, pasti consumati in stanza e singolarmente. Negli spogliatoi o in campo, le distanze di sicurezza sono almeno di due metri. “Già queste disposizioni iniziali – fa notare l’avv. Muscarà – escludono a priori tutte le società minori che non potranno sostenere questi costi”. Si tratterebbe di tenere squadra, staff tecnico, personale sanitario e altre figure imprescindibili in un albergo per due mesi. “Una gestione insostenibile per tantissime squadre di serie B e per tutte quelle Lega Pro”. Per i dilettanti nemmeno a parlarne.

Nel calcio girano più soldi, più soldi, più soldi…

Nel calcio girano più soldi. Una frase che abbiano sentito e risentito in continuazione. In questo periodo ci è stata ripetuta più volte da atleti o tecnici di altre discipline, chiamati a commentare la situazione. Anche da molti organi istituzionali, si è sentito dire che il calcio porta soldi e contribuisce significativamente al PIL della Nazione. Una considerazione che ha portato a trattare il campionato di calcio come un settore strategico della nostra economia, paragonabile al turismo, all’industria della moda o una fabbrica di mascherine. Ma questo non vale certo per tutto il calcio.

Quando si parla dell’industria del calcio, si fa riferimento alla serie A e, in particolare, ai maggiori club: quelli che prendono più soldi dai diritti TV e hanno ingaggi più alti. Sono loro a essere in prima fila per la ripartenza. Situazione che si rispecchia nelle prese di posizione dei presidenti. Da una parte Massimo Cellino, presidente del Brescia (anche lui risultato positivo al Covid-19): “se si dovesse riprendere il campionato io non schiererò il Brescia.” Dall’altra il patron della Lazio, Claudio Lotito che guida il fronte della ripresa ad ogni costo: “Ripartire è a mio avviso indispensabile. […] Siamo una grande industria che produce un gettito di 1.2 miliardi per l’erario e se dovesse saltare il meccanismo, si pensi solo alla mutualità che riverbera negli altri sport”.

Massimo Cellino, presidente del Brescia

La mutua solidarietà dello sport italiano

Quello a cui si riferisce Lotito, è il sistema di mutua solidarietà del calcio e, in generale, dello sport italiano. Parte delle entrate della Lega serie A (diritti tv e scommesse soprattutto), infatti, servono a finanziare il resto dello sport italiano. Quello in cui si impara a giocare, quello da cui nascono i campioni veri, quello che non va in televisione, quello che non ha presidenti showman. “Certo, i mancati introiti da diritti televisivi porterebbero una perdita ingente a cascata su tutti – conferma Muscarà – ma i problemi per i club saranno ben altri”. C’era in effetti il sospetto che Lotito e altri non stessero pensando veramente alle sorti della Ternana o della Viterbese. “Il calcio deve continuare perché ormai ha sviluppato un sistema troppo complesso”. C’è anche un ulteriore soggetto interessato e di cui si parla poco: i procuratori sportivi.

Il potere che i procuratori si sono ritagliati è molto. Spesso sono loro a dettare le linee di mercato e stabilire i valori dei cartellini. “Nei contratti dei calciatori sono previsti bonus e premi basati sulle prestazioni e risultati a fine stagione. Senza una conclusione del campionato – anticipa Daniele Mascarà – fioccheranno ricorsi e cause milionarie contro i club.” Risarcimenti milionari, come i contratti dei giocatori: “la FIFA ha fornito le proprie linee guida – non vincolanti – per far fronte agli inevitabili problemi relativi ai contratti sia di prestazione sportiva sia di trasferimento, invitando tutte le parti in causa a trovare accordi in buona fede e ad evitare decisioni unilaterali che porterebbero, con molta probabilità, le diatribe avanti gli organi di giustizia sportiva”.

Cluadio Lotito e Andrea Agnelli, patron di Lazio e Juventus

Con il calcio in lockdown ci perdono (quasi) tutti

Gli stessi problemi, più o meno, che si può trovare ad affrontare una qualsiasi industria italiana in questo momento: commesse impossibili da ultimare, stipendi dei dipendenti da pagare, una ripresa che sarà più costosa del lockdown stesso, nessuna garanzia. Della classifica non importa a nessuno, come ha fatto anche notare Damiano Tommasi, presidente della AIC: “le considerazioni attuali su tagli a stipendi o meno, chiusura anticipata o meno, giocare d’estate o meno, sono, ad oggi, per l’80% con priorità all’emergenza economica e per il 20% all’emergenza sanitaria”. Definire che sia il campione d’Italia della stagione ‘19-’20 non interessa a nessuno, nemmeno a Lotito.

L’unico tema qui sono i soldi. Un tema fondamentale e nobilissimo per un capitano d’industria, un imprenditore o anche per il proprietario di una piccola azienda. Per lo sport dovrebbe essere diverso. Il calcio fa eccezione, a quanto pare, se Lega e FIGC sono disposte a rischiare la salute dei calciatori, dei preparatori atletici, dei fisioterapisti, massaggiatori, allenatori, addetti stampa, magazzinieri, giardinieri e altre figure che, seppur ridotte all’osso, servono allo svolgimento dello show, tanto quanto Cristiano Ronaldo. Se la serie A dovesse riprendere, sarebbe uno sforzo enorme per il movimento e per il Paese. Uno sforzo, ancora una volta, in nome del PIL. Quindi, ci chiediamo: quando sarà che la Lega di serie A verrà riconosciuta da Confindustria, uscendo finalmente dal novero degli organi sportivi? Ecco, l’Udinese lo ha già fatto, gli altri?

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