Un giocatore dal talento infinito, capace di giocate futuristiche, che però ha ottenuto meno di quello che era nelle sue corde. Folgorante nel Santos, vincente col Barça, ‘stella comprimaria’ nel tridente con Suarez e Messi e principe col PSG-neymarcentrico, per poi veder fallire il progetto degli sceicchi parigini. Ora ha scelto gli infiniti milioni arabi. Neymar, una carriera da incompiuto o doveva andare così?
‘O Ney’ leggenda mancata? Nel suo prime ha toccato le vette di Dihno
Leggiadria, dribbling umilianti, onnipotenza nei piedi, doti fuori dal comune e l’impressione di aver davanti agli occhi un qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Era questa la sensazione provata nel 2010, quando vedevamo per la prima volta Neymar. Un giocatore quasi trascendentale, troppo innovativo per pensare che fosse frutto di madre natura. Spolverate di Pelè e classe a vagonate come Ronaldinho. Sembrava uscito da un videogioco tanto era forte. Fin dall’esordio col Santos, ha mostrato le stimmate del fuoriclasse, del crack che avrebbe sconquassato il pianeta pallonaro. Talento potenzialmente infinito in grado di conquistare la scena mondiale e rubare il trono al duo Messi-Ronaldo. L’ha fatto? In parte, marginalmente, a modo suo. Per tutta la carriera e ancora oggi, quando a breve esordirà nella Saudi League, Neymar si è portato dietro la nomea di fenomeno senza eguali che non ha mai concretizzato pienamente le sue potenzialità. Ci è andato vicino nella stagione del covid vissuta da trascinatore, suo prime moment che, però, si è sbriciolato con gloria e Champions rubate dal Bayern.
A differenza di Ronaldo e Messi, che hanno toccato l’apogeo, ci hanno vissuto, sguazzato, banchettato e preso residenza fissa, Neymar l’ha solo sfiorato. Ha accarezzato i vertici del calcio, ha provato come si stava comodi lassù poi però, ha preferito scendere ed essere grande tra tanti campioni, piuttosto che diventare icona. Per beghe personali, buchi neri nel carattere, discontinuità fisico-mentali e altre variabili, ‘O Ney’ non ha mai preso a piene mani tutto quello che il Dio del calcio gli aveva offerto nella ricca cornucopia del predestinato. Si è accontentato? Forse. Ha vinto, questo è indubbio. Medaglia olimpica, triplete blaugrana e campionati francesi, tanti i trofei in bacheca, ma tutti conquistati senza essere stella trascinante della squadra. A Barcellona incantava stadio e tifosi, ma era sempre marginale rispetto a Messi, Iniesta e Xavi. Voleva essere violino solista nel PSG costruito su misura per lui, ma è inciampato sul più bello. Neymar leggenda mancata? Forse è meglio dire che ha vissuto e sta vivendo il calcio a modo suo, secondo le sue regole, libero.
Cosa ci insegna l’ultima virata nella carriera di Neymar? Dobbiamo aver paura dell’Arabia?
Come ha fatto strano veder segnare il pallone d’oro Benzema con la maglia giallo-fluo dell’Al-Ittihad, allo stesso modo farà effetto guardare Neymar giocare per l’Al-Hilal. Parliamoci chiaro, finché Ruben Neves, Telles o Koulibaly scelgono l’esilio arabo, la nostra reazione è del tipo “e sti gran capperi”. Quando però, ad andare nella terra dei petroldollari è un fenomeno totale come ‘O Ney’, c’è tristezza. È triste perché un fuoriclasse di questo calibro deve stare su palcoscenici prestigiosi, segnare per club storici e far gioire tifosi che sanno cosa significhi la parola calcio, che conoscano la storia di questo sport e che apprezzano fino in fondo ogni sfumatura e si emozionano nel vederlo all’opera. Guardare Neymar con la casacca celeste dell’Al-Hilal suscita anche rabbia per quello che poteva essere e non è stato. Fa rabbia perché a 31 anni un talento così unico non merita un campionato tanto marginale. Avrebbe ancora molto da dare al calcio europeo.
Con questo approdo in Arabia invece, facendo una previsione da calciofili, assisteremo ad un Neymar più rilassato, senza troppe pressioni addosso, circondato da un’atmosfera regale. Magari più votato alla versione intermittente di sé, quella a cui ci ha abituati nel suo ultimo periodo al PSG tra bagliori di genialità e scolorite prestazioni da comprimario. Per intenderci, questo potrebbe essere il suo viale del tramonto, dove la stella di ‘O Ney’ è probabile si affievolisca fino a diventare un banale lumicino. In quel campionato lì, l’asso brasiliano farà compagnia a tanti ex calciatori europei, acquistati e pagati con cifre mai viste prima. Tra manovre governative, leggi ad hoc e portafogli dalla profondità abissale, a questo punto viene da chiedersi: fin dove vorrà spingersi la realtà calcistica araba? Difficile dirlo con certezza, ma di sicuro l’esodo dai campionati nostrani continuerà imperterrito. C’è timore e un velo di preoccupazione nella sponda occidentale del calcio, perché la Saudi Pro League sembra avere il potere di fare qualsiasi cosa. L’impressione è che stiamo per assistere ad una svolta decisiva nel calcio mondiale.