“Francesco ha lavorato a questo film per 25 anni”. Queste le parole di Alex Infascelli, regista del documentario nelle sale cinematografiche rappresentante la vita dell’ex capitano della Roma. “Mi chiamo Francesco Totti”, un film in cui si rivivono i passi di una carriera leggendaria. La voce narrante è quella del protagonista che con le solite divertenti battute accompagna l’intera durata del documentario, non lasciando mai solo lo spettatore, immergendolo totalmente in quelle emozioni lunghe 25 anni. Dai primi calci sulle spiagge di Torvaianica, alle prime convocazioni in Nazionale arrivando fino a quel 28 maggio 2017.
Da Torvaianica al tetto d’Italia
Francesco ci porta per mano lungo tutta la sua vita, spiegandoci minuziosamente ogni particolare, a partire dalle persone presenti nei video-ricordo di quando era bambino. “Questo è papà, quello è Riccardo, questo sono io che già calcio il pallone e quella è mamma. Tiè guarda quanto era giovane”. Dalla spiaggia al primo campo di calcio, quello della Fortitudo esattamente sotto casa Totti. Sembrerebbe un passo da nulla, ma per un bambino timido come era lui, è stato un passo degno di Neil Armstrong. Da quei primi calci dove – dice – faceva già le giocate che abbiamo tutti ancora negli occhi, alla “seconda squadra della capitale”: la Lodigiani. Da lì una rapida scalata fino a ricevere le chiamate di Roma e Lazio. Cosa avrebbe mai potuto scegliere un bambino che in casa si specchiava immaginandosi di essere Giuseppe Giannini?
“Un giorno giocavo con la primavera, faccio doppietta e il mister mi sostituisce…Perché mai? Dopo pochi secondi mi dicono di farmi la doccia velocemente che sarei dovuto partire con la prima squadra…Non volevo nemmeno andare”. Brescia-Roma, il destino, parola più utilizzata da Totti nella narrazione, lo aveva portato fin lì. Gli allenamenti con i propri idoli, il primo gol in Serie A, le frizioni con Bianchi, il torneo “Città di Roma”, che definisce il vero spartiacque della sua carriera. Gli insegnamenti di Mazzone, la bontà di Zeman e lo scudetto con Capello. “E’ vostro!” urla Francesco davanti alla telecamera dopo il gol dell’1-0 contro il Parma. L’interminabile festa scudetto durata mesi, la vacanza in barca con gli amici di sempre. Si sentiva il re del mondo e come dargli torto. Un ragazzo che gioca per la sua squadra del cuore e da capitano la porta sul tetto d’Italia.
Il Real, il Mondiale ed il primo Spalletti
Dopo lo scudetto del 2001, i giallorossi sfiorano il secondo successivo, prima di entrare in una fase negativa. Sulla panchina si alternano 4 allenatori. Il pensiero di accasarsi alla corte di Florentino Perez c’è stato: “Ma dove vado? Io sto bene a Roma, devo tutto a questa città”. Nell’estate del 2005 come allenatore della Roma c’è Spalletti. Secondo Francesco l’uomo giusto per risollevare la squadra. Si parte subito forte e arrivano le 11 vittorie consecutive. In mezzo? Quel maledetto Roma-Empoli in cui Francesco si rompe i legamenti della caviglia con il mondiale ormai alle porte. In sala operatoria, con accanto il suo amico di sempre Vito Scala, è terrorizzato. Vuole operarsi solo se riuscirà a tornare in tempo per il mondiale, altrimenti preferisce rimanere così. Nei mesi successivi si allenerà per 8 ore al giorno tra palestra, rinforzo muscolare e corsa.
Dopo ogni allenamento con la squadra il mister si dedicava al suo fenomeno, correndo insieme a lui e prendendolo anche in giro se i tempi non erano buoni. Insomma un rapporto quasi fraterno tra l’allenatore e il giocatore di maggior talento della sua squadra. Lui e Lippi lo hanno aspettato, lo hanno aiutato e ne hanno raccolto i frutti. Al Mondiale andrà e non serve ricordare quanto sia stato importante il suo apporto. “Vedo davanti a me la strada spianata verso il pallone. Chi beve da una parte, chi si allunga dall’altra, nessuno voleva tirarlo. Mi sono affidato ai miei piedi, e quando lo faccio solitamente non sbaglio”. Il mondiale, la Coppa Italia, la Scarpa d’Oro, il periodo più felice della sua vita perché nel frattempo ha conosciuto Ilary ed è nato Cristian. Da lì in poi si passa velocemente fino agli ultimi anni di carriera. Gli anni del ritorno del tecnico toscano.
Gli ultimi due anni
Un rapporto che inizia subito con un saluto molto freddo tra i due. Francesco intuisce subito che qualcosa non va ma non riesce proprio a capacitarsi di cosa. “Sei sicuro di non avergli fatto nulla?”, gli domanda Ilary. Il rapporto si incrina sempre di più ed il campo per Francesco diventa un miraggio. Entra in campo negli ultimi minuti di gara, in cui poco avrebbe cambiato il suo apporto alla squadra. “Perché si comporta così se in allenamento sono tra i migliori”. “Io non ho bisogno degli applausi e delle standing ovation”. Il gol a Bergamo contro l’Atalanta, la magica doppietta al Torino e il rinnovo del contratto. Ilary non avrebbe voluto che firmasse perché, a suo dire: “quella partita sarebbe stato un momento perfetto per appendere gli scarpini al chiodo“. E come dargli torto.
28 Maggio 2017. Una data che difficilmente un tifoso della Roma dimenticherà. Un giorno ripreso dall’inizio alla fine. Le immagini di Francesco appena sveglio filmate con il telefonino di Ilary. I vicini di casa che lo accompagnano nel suo ultimo viaggio verso Trigoria da calciatore. Una signora che lo ferma in lacrime: “Come faccio adesso?”. Le emozioni sono palpabili anche nel viso di Francesco che in macchina si lascia quasi andare in un pianto. Gli scherzi di De Rossi e Nainggolan e la sorpresa di un pulmino con a bordo tutti i suoi compagni di vita. Amici, parenti, figli. C’erano tutti. La partita, il gol di Perotti e le immagini di un uomo distrutto all’interno del boccaporto dell’Olimpico accompagnato dalla musica di Claudio Baglioni. Il discorso tra le lacrime generali, il giro di campo e l’ultimo saluto alla sua curva.
Francesco Totti, monumento di Roma
Per capire chi è stato e chi è Francesco Totti bisognerebbe usare il titolo della biografia di Ruud Gullit. “Non guardare la palla”. Già perché la vieja, come la chiamano in Argentina, ha avuto un ruolo talmente centrale nella vita di Francesco da risultare quasi marginale. Un bambino timido di Porta Metronia. Ecco chi è veramente Francesco Totti. Nonostante il personaggio che si è costruito negli anni, dotato di una spontaneità e una simpatia contagiosa condita da tempi comici invidiabili, Francesco è un uomo ed è stato un bambino molto riservato. A scuola spesso in silenzio perché preferiva far parlare i suoi piedi, da capitano un leader che comandava con la sua tecnica e la sua voglia di stupire. E’ stato per la città di Roma un simbolo ed ora che la sua carriera è terminata, un monumento. “Ma io dico: ce sarà mai un giorno nella vita mia in cui nessuno me ferma e non firmo manco n’autografo? Prima che moro una volta potrò mai uscire senza che nessuno me dice niente? Secondo me no…”.
Francesco ormai non è più in carne ed ossa, è una figura mistica fatta di emozioni e di sogni, quelli che lui stesso ha fatto provare alla gente. Credo, senza timore di essere smentito, che buona parte dei tifosi romanisti nati dal 1995 in poi ha pronunciato 3 parole nei primi anni di vita. Le solite due, facilmente scandibili, Mam-ma e Pa-pà, e poi c’era un terzo incomodo. Un’altra parola facile e di conseguenza di immediata comprensione. Tot-ti. Ha vissuto talmente tante emozioni con chi come lui ha la lupa nel cuore che come ripete spesso, gli sembra di conoscere tutti. Perché poche cose erano sicure nella vita: la famiglia, gli amici e Totti. Per 25 anni chi era dalla sua parte, calcisticamente parlando, non si è mai dovuto preoccupare di nulla. Tanto c’era lui. Ora riuscite a comprendere il pianto di quel 28 maggio 2017? 70mila persone a piangere l’addio di un calciatore ma Francesco per un romanista non era un semplice giocatore. Era una costante in un mondo di incognite.