Margaret Court è forse il nome peggiore per un campo da tennis

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Un nome ingombrante continua a mettere in imbarazzo l’organizzazione degli Australian Open. Il secondo campo dello stadio che ospita lo Slam australiano è infatti intitolato a una grande tennista. Il nome di Margaret Court però non è legato solo alla storia del tennis australiano. Le posizioni omofobe ed estremamente conservatrici della Court sono conosciute e risapute. Mentre Tennis Australia continua a minimizzare, altri, come la leggenda del tennis ceco Martina Navratilova, non hanno alcuna intenzione di stare zitti.

McEnroe Navratilova striscione
John McEnroe e Martina Navratilova durante la protesta alla Margaret Court Arena

La protesta contro la Margaret Court Arena

Si gioca il Grande Slam d’Australia. Nella giornata dedicata alle leggende del tennis, la Navratilova e Daniela Hantuchova affrontano in doppio le colleghe Nicole Bradtke e Mary Joe Fernandez. Alla fine del match (vinto) la Navratilova si arrampica sulla scaletta dell’arbitro e si rivolge al pubblico della Margaret Court Arena. Con la rapidità di un canguro, il microfono viene spento insieme al collegamento tv, prima che la tennista potesse dire qualcosa.

Aspettandosi la censura dell’Australin Open, la campionessa ceca chiama in campo un’altra leggenda. Lei e John McEnroe sfilano davanti agli spettatori con uno striscione: “Evonne Goolagong Arena”, come suggerendo all’organizzazione e ai tifosi, quale dovrebbe essere il nome appropriato da dare allo stadio. Il nome scritto sullo striscione non è casuale. Goolagong è infatti un’altra campionessa australiana. Con i 68 titoli WTA di cui 7 Grande Slam, è considerata la seconda miglior tennista del continente, oltre a essere la prima aborigena ad aver vinto uno Slam.

goolagong australia open
Evonne Goolagong, classe 1951

Campionessa di tennis e icona australiana

La polemica nasce intorno alla figura controversa di Margaret Court. Oltre alla sua carriera tennistica (detiene tutt’ora il record femminile di Slam vinti), a far parlare di lei sono le sue idee estremamente conservatrici, razziste e omofobe. Nata nel 1942, dal 1995 è pastore pentecostale nella sua chiesa di Perth, dal cui pulpito arringa i fedeli contro tutto quello che c’è di male a questo mondo (secondo lei). Qualche esempio? Il tennis è pieno di lesbiche; i gay possono e devono essere curati; i matrimoni omosessuali sono pratiche abominevoli; i figli delle coppie gay, trans o lesbiche sono figli del demonio.

Nel 2017, la vecchia aussie conservatrice dichiarò che avrebbe boicottato i voli Qantas, compagnia di bandiera australiana accusata di sostenere i matrimoni gay. Nonostante i tentativi della signora Court di riportarci al ‘700, però, siamo ancora nel XXI secolo e quest’anno si festeggiano i 50 anni del suo ultimo Slam vinto. Anche per questo, molti tennisti e appassionati, hanno rivolto lo sguardo alla Margaret Court Arena, aspettandosi forse delle prese di posizione dell’Aussie Tennis.

margaret court
Margaret Court riceve il riconoscimento alla carriera

Essere una super-campionessa non basta

Come è chiaro, però, la federazione del tennis australiano si è guardata bene dal prendere posizioni riguardo i pensieri (e le azioni) della propria icona. Anzi, attraverso il presidente Craig Tiley fa sapere che Court sarà festeggiata come tennista e che la federazione “abbraccia le diversità, l’inclusione e il diritto delle persone ad avere una visione, così come il diritto di esprimere quella visione.” Sì, come quando Court espresse tutta la sua visione positiva dell’Apartheid: raccontando di quanto la “situazione razziale” in Sud Africa fosse molto meglio gestita rispetto agli Stati Uniti. Perché hai razzisti si può recriminare tutto, tranne l’efficienza.

Il diritto di esprimere le proprie visioni, però, non deve essere stato applicato nel caso della protesta di Navratilova e McEnroe. Contro i due “ospiti di alto livello” – come li ha definiti la federtennis australiana – l’organizzazione deciderà come agire. Intanto anche Margaret Court ha commentato: “mi criticano perché trasmetto i precetti della bibbia. Se parliamo di tennis è meglio”. Come se parlare di tennis, quindi di sport, non volesse dire parlare e aderire a principi di uguaglianza, rispetto e accoglienza. Come se un atleta non fosse anche un cittadino. Come se la sua vita e il suo pensiero dovessero essere forzatamente limitati al proprio ambito sportivo. Come se vittorie e record potessero giustificare parole velenose e pensieri omofobi. Come se si potesse intitolare il campo di uno stadio internazionale di tennis a un razzista.

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