La Hershend Entertainment, casa madre degli Harlem Globetrotters, propone un nuovo logo ai Washington Redskins. Nel pieno delle manifestazioni seguite all’omicidio di George Floyd, sui Redskins riesplode l’accusa di intolleranza nei confronti dei nativi americani. Per questo motivo il patron dei ‘Pellerossa’ valuta la possibilità di acquisire i diritti dei Washington Generals, brand “fratello” degli Harlem. In questo come in altri casi, lo sport incontra le rivendicazioni delle minoranze. Oggi, quelle portate avanti dal movimento Black Lives Matter.
Harlem Globetrotters, un nuovo logo per i Redskins
Sull’onda delle contestazioni anti-razziste avviate in America dopo il brutale omicidio di George Floyd, la squadra di football dei Washington Redskins è nell’occhio del ciclone. Il team vanta nome e logo con un pellerossa sin dal 1933, quando faceva capo alla città di Boston. Adesso, accusato di discriminazione verso la minoranza dei nativi americani, riceve da più fronti le richieste di un definitivo cambio di rotta. Un giro di boa confermato dal proprietario Daniel Snyder che, in attesa di trovare un nuovo nome, ha optato per Washington Football Team. A tendergli una mano è intervenuta la Herschend Entertainment, proprietaria di numerosi parchi divertimenti. La casa madre degli Harlem Globetrotters, nonché proprietaria del marchio dei Washington Generals, avanza un’offerta che non si può rifiutare.
Il brand è pronto a cedere i diritti dei Washington Generals – ha annunciato il portavoce Brett Meister. A Daniel Snyder, proprietario dei Redskins, si apre la strada del rebranding. Ora, sta valutando se acquisire i diritti di un team sul quale, tuttavia, grava il nomignolo di “adorabile perdente”. Un epiteto dovuto allo storytelling in cui è incastonato. Ma i Washington Generals non sono gli unici “appuntati”. In alternativa, l’altro nome papabile apparterrebbe ai New Jersey Generals. In questo caso parliamo della squadra di football attiva dal 1982 al 1986, acquistata da Donald Trump nel 1984-85.
Gli Harlem Globetrotters in giro per il mondo
Burle, zompi, acrobazie. Canotta blu e pantaloncini a stelle e strisce. Gli Harlem Globetrotters sono un team di pallacanestro decisamente sui generis. Nati nel 1927 dall’intuizione di Abe Saperstein, sin dal secondo dopoguerra hanno intrapreso la strada dell’intrattenimento. La verve dei giocatori, rigorosamente di origine afroamericana, ha messo tutti d’accordo. Persino durante la guerra fredda. Infatti nel 1951, proprio durante la divisione del mondo in blocchi, permise loro di giocare a Berlino. Oggi i simpatici giramondo si confrontano con un’altra guerra, come vediamo più avanti.
Che si tratti di una squadra di professionisti, non c’è dubbio. Lungi dall’essere dei semplici comici, i “giramondo di Harlem” figurano nella Basketball Hall of Fame. A dimostrazione della loro seria ilarità, nel 1940 vincono il torneo World Professional Basketball Tournament di Chicago. Fra le loro fila anche il diplomatico Henry Kissinger, Nelson Mandela e papa Paolo Giovanni II – come membri onorari, s’intende. Vincitori nel 2013 del Premio Eddie Hamel per l’impegno sportivo contro il razzismo, oggi i Globies si allenano nientemeno che al Walt Disney Resort di Orlando. Impegnati in tricks fantasiosi come “confetti” e “secchio di ghiaccio”, i nostri eroi avrebbero dovuto esibirsi anche in Italia con “Pushing the Limits”. Prevista per marzo, a causa della pandemia da Covid-19 la tournée è stata procrastinata dapprima a giugno e poi ad aprile 2021. Ma, al di là dell’Atlantico, sono ora impegnati sul fronte statunitense.
Lo sport al centro della battaglia anti-razziale
Il logo offerto dagli Harlem Globetrotters ai Redskins fa pensare che sia arrivato il momento di un definitivo cambio di nome. E non è la prima volta che lo sport incrocia la questione razziale. Dal 25 maggio 2020 la città di Washington assiste alla distruzione di simboli del passato. Molti punti di riferimento vengono messi in discussione per la loro visione del mondo WASP e razzista nei confronti delle minoranze. Fra questi, il logo “pellerossa”, percepito come irrispettoso verso i nativi americani e oggetto di denuncia sociale e politica sin dal 2014. La democratica Muriel Bowser, sindaco del District of Columbia, sostiene da anni questo appello. Accanto a lei, recentemente, anche la parlamentare Alexandria Ocasio-Cortez. Ma, sino ad oggi, attorno al logo con la testa piumata è girato troppo merchandising.
La nuova ondata di contestazioni ha dato la stura ad una decisiva inversione di tendenza. A seguito dell’omicidio di George Floyd, a inizio luglio numerosi sponsor – minacciati dagli azionisti – hanno appoggiato la causa delle minoranze. Sui Redskins gravano le minacce di Pepsi, FedEx e Amazon. Lo store online di Nike ne ha bandito i prodotti. È legittimo domandarsi perché tanto rumore attorno a un nome che, dal nostro punto di vista, potrebbe rappresentare i pellerossa come simpatiche mascotte. Tuttavia occorre considerare che noi, bianchi ed europei, rischiamo di non percepire i fatti con la stessa intensità dei nativi. Si rende doveroso ascoltare le richieste di chi, letteralmente, vive questa situazione sulla propria pelle. Nel mirino adesso anche la mascotte dei Cleveland Indians “Capo Wahoo”. Sperando che la soluzione offerta dagli Harlem Globetrotters non sia un’operazione di marketing culturale, ma il primo passo verso un canestro da tre punti.