L’accusa nei confronti di Armando Izzo è di concorso esterno in associazione camorristica e frode sportiva. Gli episodi contestati risalgono alla sua militanza nell’Avellino, chiesti più di 4 anni.
Armando Izzo e il clan di Secondigliano
Scommesse, criminalità, condanne. Sembrano le parole chiave di una storia di cronaca nera non legata a una faccenda calcistica. E invece il protagonista è proprio un giocatore. Lui si chiama Armando Izzo è un difensore ed è coinvolto in un caso di calcioscommesse e criminalità organizzata. Rischia una condanna di quattro anni e dieci mesi per concorso esterno in associazione camorristica e frode sportiva. Richiesta avanzata dalla Dda di Napoli nella requisitoria del pm Maurizio De Marco, che ha interrogato anche lo stesso Izzo. I reati contestati risalgono al periodo in cui militava nell’Avellino, tra Serie C e B, prima che la carriera decollasse con la Serie A al Genoa, al Torino e al Monza in prestito con obbligo di riscatto, in caso di salvezza fissato a 4,5 milioni di euro.
I fatti, di cui sono protagonisti i fratelli Accurso, si riferiscono al 2014 e si inquadrano nell’attività criminale del clan di Secondigliano. L’inchiesta, nata nel 2016, ha portato al processo che è arrivato la scorsa settimana alle richieste di condanne da parte dell’accusa. A muovere le prime accuse che hanno scaturito il processo è un amico di infanzia di Izzo. Si chiama Antonio Accurso ed è un ex killer dei «egirati», fratello di Umberto Accurso, che sta invece scontando l’ergastolo per omicidio e
camorra. Nomi importanti della camorra su cui anche il difensore del Torino è stato interrogato, accusato di combine a Modena-Avellino.
“Ho simulato l’infortunio per Modena – Avellino”
Era il 17 marzo 2014, una partita della serie B di quel giorno era appunto Modena – Avellino. Izzo non giocherà quella partita, simulando un risentimento muscolare pur di rimanere fuori da quel match su cui la peggiore camorra di Secondigliano aveva piazzato i propri artigli (e capitali), pur di non trovarsi in difficoltà. Ammetterà poi di aver finto il malessere fisico. “Ho simulato un infortunio – racconta in una lunga intervista a Il Mattino – in realtà ho simulato per non essere coinvolto in una combine.”
“Ero a Secondigliano, a casa della mamma, ricevo una chiamata da Luca Pini, un collega calciatore che faceva anche il gioielliere, che doveva consegnarmi delle collane per moglie e figli, con lui c’era Salvatore Russo detto Geremia. Mi portano in un ristorante, dove trovo Millesi con i fratelli Accurso ma
anche altre due persone che non ricordo bene. Loro mi dissero di accodarmi, ma a me quel
raduno mi puzzava. Vidi un’aria strana al punto tale che dopo una trentina di minuti presi
un taxi e andai via. Mi limitai a dire ‘devo stare tranquillo’. Non sentii cose particolari, ma intuii
che si trattava di qualcosa di strano, perché vedevo Millesi e gli Accurso“. ha raccontato Izzo.
Le vicende legate alla sua infanzia lo hanno seguito negli anni e non solo nel 2014. Un altro fatto che ci si lega è avvenuto qualche tempo prima, quando Izzo aveva 18 anni. Il difensore venne raggiunto a Trieste, dove giocò prima di andare in Serie B. “Vennero da me e mi dissero che volevano truccare le partite. Ma io dissi che volevo fare carriera e negai il mio contributo. Pensai alla promessa fatta a mio padre nel lotto G.” Il lotto G è dove è nato e cresciuto Izzo, a Scampia, la terra di nessuno di Napoli. Qui Armando Izzo fece una promessa a suo padre, come lui stesso ha raccontato, quella di portare sulla sua tomba la maglia del Napoli. “Perché era questo il mio sogno, il nostro sogno, quello di arrivare a giocare per la serie A”.