Afghanistan: la caduta di Kabul non spegnerà i sogni delle ragazze

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Questa è la storia di Zakia Khoudadadi, atleta di taekwondo che il 17 agosto faceva un appello sui social implorando aiuto perchè, con l’arrivo dei talebani, vedeva i suoi sogni crollare insieme a tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per ottenere la qualificazioni a Tokyo 2020.
Il 28 agosto è arrivata al villaggio olimpico della capitale nipponica e il 2 settembre è pronta a gareggiare  nella categoria di peso K44 -49 kg femminile nel taekwondo.

Zakia Khoudadadi: “Ho visto i miei sogni crollare” 

Che le paralimpiadi abbiano storie più intense da raccontarci è un dato ben noto dettato dal fatto che le difficoltà che incontrano gli atleti paralimpici sono più grandi e la loro determinazione li rende eroi moderni, ancora prima che atleti. E non è patetismo ma semplice realtà. Che piaccia o no. Quest’anno tra quegli atleti c’è chi ha una storia anche più intensa. Una storia che arriva da lontano (per noi), dall’Afghanistan precisamente. E’ la storia di Zakia Khoudadadi. Atleta del taekwondo, è la prima donna afghana chiamata a partecipare alle Olimpiadi. Già per questo aveva fatto parlare di sé.

Il resto è storia recente. La ascoltiamo ogni giorno in tv, la leggiamo sui giornali. Non la viviamo sulla nostra pelle ma ci arriva e ci sconvolge. Dopo la caduta di Kabul nelle mani dei talebani, Zakia ha visto gli sforzi, i sacrifici e i diritti acquisiti in anni, rischiare di andare in fumo. E il suo sogno dietro di loro. “La mia famiglia è in una situazione molto brutta. Siamo tutti sotto il controllo dei talebani e questo è un incubo. Al momento non ho nemmeno la sicurezza della vita, figuriamoci della competizione. Sono l’unica donna nella storia dell’Afghanistan che ha ottenuto la qualificazione olimpica, ma ora vedo i miei sogni crollare”. Questo è stato l’appello lanciato nei giorni in cui era intrappolata nel suo Paese dopo l’arrivo dei talebani.

Dall’incubo dell’Afghanistan al sogno giapponese

Con quella rappresaglia certo a crollare non sono stati solo i suoi sogni, ma quelli di molte ragazze afghane. E la sua è una storia di resilienza ma soprattutto di speranza. Infatti, di fronte al buio portato dai talebani a metà agosto, quando tutto è cambiato, lo spiraglio di luce per Zakia è arrivato da un volo dell’Aeronautica militare australiana che l’ha portata in Australia prima, in Francia poi e alla fine in Giappone. Insomma ha fatto tante tappe, ma è arrivato a meta. Con lei, anche il suo connazionale Hossain Rasouli. Hanno raggiunto il villaggio olimpico a Tokyo il 28 agosto, pronti per gareggiare il 2 e il 3 settembre.

Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico, ha definito questa storia come pazzesca, “un segno di resilienza dello sport paralimpico e una gioia immensa“. Direi doppia: infatti Zakia è stata messa in salvo dopo un suo appello sui social. Vuol dire che il movimento paralimpico inizia ad avere un peso, e, con questo, inizia a smuovere. Ma non solo. In mezzo a tanta distruzione sappiamo che esiste una donna di nome Zakia Khoudadadi che viene dall’Afghanistan e che è riuscita a sfuggire alla tirannia e a realizzare il suo sogno. E questa, al netto di come andranno le sue competizioni, è già una vittoria. C’è ancora chi nega il legame dello sport con tutti gli altri aspetti della nostra vita sociale, politica e culturale? O chi avrebbe il coraggio di considerare il primo meno importante dei secondi?

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