Wayne Gardner, padre dell’attuale pilota Superbike ed ex campione Moto2 Remy, si è raccontato in un’intervista pubblicata la scorsa settimana su MotoSprint, in cui ha anche confrontato il motociclismo moderno con quello del passato. L’australiano è stato campione del mondo della Classe 500 nel 1987.
Wayne Gardner, fuoriclasse di un motociclismo che non esiste più
Niente elettronica, moto a due tempi dall’erogazione brutale, incidenti spaventosi e infortuni gravi che erano piuttosto frequenti. Era questo il motociclismo della seconda metà degli anni Ottanta. Lo sa bene Wayne Gardner, leggenda dello sport in quegli anni e bandiera della Honda, con cui ha corso nella Classe Regina, la 500, dal 1983 al 1992. Ottenuto il primo podio nel 1984, l’anno successivo fu il primo in cui lottò per le posizioni alte della classifica. Ottenne cinque podi complessivi, con un ottimo rendimento soprattutto nella parte centrale della stagione, con due terzi e un quarto posto nelle tre gare corse in Jugoslavia, Olanda e Belgio – record parziale con 28 punti totali, contro i 27 di Spencer e Lawson – che gli permisero di chiudere al quarto posto nel mondiale piloti. Nel 1986 arrivarono le prime vittorie, e finalmente Wayne era pronto a giocarsi il titolo iridato.
Alloro mondiale che l’australiano avrebbe conquistato nel 1987, grazie a sette successi, dieci pole position e dodici podi su quindici prove. In quel periodo, la popolarità del motociclismo nell’emisfero australe aumentò notevolmente: “Prima del mio esordio in 500 il Motomondiale non veniva affatto trasmesso in Australia, – ha raccontato Wayne in esclusiva ai microfoni di MotoSprint – era uno sport sconosciuto. I riscontri furono grandiosi, tanto che si iniziò a pensare di avere una tappa del Mondiale proprio nel mio Paese”. Ma negli anni successivi le cose non sarebbero andate secondo i piani di Gardner. Il 1988 fu caratterizzato da alcuni problemi di telaio che impedirono alla Honda di essere performante nella prima parte della stagione. Le tre vittorie consecutive in Olanda, Belgio e Jugoslavia (ancora una volta le sue gare preferite, ndr) non bastarono a ribaltare l’esito del campionato, che finì nelle mani di Eddie Lawson, su Yamaha.
Gli infortuni e il ritiro: colpa delle 500 a due tempi?
Nei due anni successivi Wayne continuò a essere velocissimo e a vincere delle gare, ma aumentarono anche le cadute e, soprattutto, gli infortuni. Fu costretto a saltare cinque gare consecutive nel 1989 e altre tre nella stagione successiva. Lottare per il mondiale fu impossibile. Forse fu anche colpa delle moto indomabili che caratterizzavano quel periodo della 500: “Sentivi i meccanici che scaldavano la moto e a volte pensavi: ma ci devo proprio salire? […] Le piste erano pericolose, le 500 anche. Ci voleva coraggio. Oggi ci sono le quattro tempi e non c’è paragone. Rispetto alle due tempi sono più facili”. Fu complicato riprendersi dagli infortuni. Ma nel 1990 Gardner riuscì a togliersi la soddisfazione di trionfare a Phillip Island, nonostante una frattura al polso e una carena che si muoveva sul rettilineo portando la moto verso il centro della pista, costringendolo ad adattare il suo stile di guida.
Negli ultimi due anni di carriera Wayne iniziò a perdere interesse per le corse. Gli infortuni erano troppi – saltò altre cinque gare nel 1992 – e alla fine decise di ritirarsi. Il suo più grande rimpianto resta quello di non essere passato alla Yamaha alla fine del 1988: “Kenny Roberts mi offrì un contratto, dicendomi che con la loro moto avrei potuto vincere altri cinque Mondiali […] e io sono d’accordo con lui. Con una moto competitiva ce l’avrei fatta”. Se l’australiano fosse passato alla casa di Iwata, forse Roberts e Gardner avrebbero vinto insieme altri titoli mondiali. Ma in realtà ci sono riusciti lo stesso: il figlio di Wayne, Remy, nel 2021 è diventato campione del mondo della Moto2, trentaquattro anni dopo il successo del padre. Un’impresa riuscita solo a un altro duo padre-figlio: Kenny Roberts e Kenny Roberts Junior. Difficile da credere, ma è andata proprio così.