L’oro olimpico ci racconta che cos’è, veramente, il tiro al volo

Ultime notizie

Toprak Razgatlioglu, il dominatore incontrastato

Con 64 punti di vantaggio su Nicolò Bulega, il...

Quello del 2024 è il miglior Bagnaia di sempre?

Velocissimo, vincente e sempre meno incline all'errore, il pilota...

Con Jorge Martin l’Aprilia può sognare

Sfumata nuovamente la possibilità di passare al Ducati Lenovo...

Share

Sul campo di tiro, tutti i giorni. Ogni mattina con sole o vento, neve o pioggia, Diana Bacosi esce di casa e va a sparare ai piattelli. Non c’è molto altro che un atleta di tiro al volo possa fare per allenarsi. Deve sparare. Ma non è tutto qui: non basta saper sparare per arrivare a una finale olimpica. La testa è l’arma più importante e se non è carica al punto giusto, può tradirti in qualsiasi momento. Concentrazione assoluta, mira e rapidità d’esecuzione: questo è il Caporal Maggiore Bacosi. Questa è un atleta medaglia d’oro olimpica.

tiro volo diana bacosi
Diana Bacosi, classe 1983, Caporal Maggiore dell’Esercito

Il tiro al volo olimpico visto da vicino

Appuntamento presto di una mattina di sabato. Il sole scalda l’erbetta del campo da tiro La Bottaccia di Castel di Guido, alle porte di Roma. Diana Bacosi è già pronta con la pettorina dell’esercito e il fucile scarico appoggiato alla spalla. Ci accompagna sulla pedana su cui si allena, non avendone mai vista una in vita mia, il Caporal Maggiore prova a descriverla. “Questa è una pedana da skeet, una delle due discipline olimpiche del tiro al volo“. Quella nella quale compete e ha vinto Diana: “due piattelli sparati da altrettante torrette, a sinistra (pull) e a destra (mark) della pedana semicircolare. I tiratori sparano da 9 posizioni di tiro lungo la pedana e i piattelli escono a 110 km/h e un ritardo da 0 a 3 secondi con angolazioni diverse“. Detto questo la Bacosi inforca gli occhiali e si prepara a iniziare l’allenamento.

Carica il suo fucile Beretta, partendo dalla postazione più vicina alla torretta di sinistra, quella più alta. Due piattelli escono, due colpi vengono sparati, i due bersagli esplodono. Sarò sincero, guardando le gare in televisione, mi è sempre sembrato tutto sommato facile. Vedendo sparare Diana Bacosi, però, mi sono reso conto di quanto sia lei a farlo sembrare semplice. Ogni piattello lanciato si trasforma in uno sbuffo di fumo colorato. Ma i piattelli sono davvero lontani e piccoli, più o meno come un piattino da tè. Deve essere l’effetto che fa vedere sparare una medaglia d’oro olimpica.

tiro bolo skeet

Diana Bacosi e l’oro di Rio 2016

Ci sono altri tiratori amatoriali nelle pedane accanto. Li sentiamo sparare i loro due colpi alla volta e vediamo i piattelli che continuano la propria corsa indisturbati. Intanto l’atleta dell’esercito ne colpisce uno dietro l’altro. Il divario tecnico è più che evidente. “Mi sono avvicinata a questo mondo grazie a mio padre e mio nonno, entrambi cacciatori – mi racconta Diana Bacosi, interrompendo il suo allenamento. Ho preso il fucile in mano la prima volta che ero una bambina e non sono più riuscita a lasciarlo“. La sua carriera agonistica, inizia nel 2004 partecipando agli europei di Nicosia, dove conquista la prima medaglia d’argento. Poi tutta una crescita, fino alla medaglia più luminosa, quella d’oro di Rio 2016. “Una grande emozione, che cercherò di riprovare a Tokyo: certo con tutte le difficoltà della situazione”.

Diana Bacosi, oltre ad essere un’atleta della nostra nazionale olimpica, è anche mamma. Il figlio di undici anni frequenta la scuola media: sarebbe tutto naturale se non vivessimo un momento tanto particolare. “Noi atleti dobbiamo cavarcela da soli. Con le difficoltà straordinarie che la scuola sta affrontando i questo periodo, i ragazzi fanno 3 ore di scuola. Mio figlio entra alle 8 ed esce alle 11: per me vuol dire ridurre molto il tempo dedicato agli allenamenti. Non è mai stato facile conciliare il mio ruolo di madre con quello di atleta ma il Covid-19 sta mettendo tutti a dura prova”. Distrazioni e pensieri che un tiratore non può permettersi. In queste discipline la concentrazione, il respiro, avere la mente libera, contano tanto quanto, almeno, avere il fucile carico. 

tiro volo beretta

L’allenamento di un atleta di tiro al volo

A questo proposito, la domanda viene da se: cosa allena un atleta di tiro al volo?Intanto dobbiamo sparare – risponde, ridendo Diana. Avere confidenza con il fucile, saper seguire i piattelli, prevederne la traiettoria in base alle varianti atmosferiche: tutte doti che si allenano solo sparando in pedana, giorno dopo giorno. Ma non è tutto qua. Non esiste un buon tiratore senza una buona testa:la capacità di rimanere concentrati fa parte della nostra disciplina. In una tranquilla mattinata di ottobre, con il sole e poco vento è facile trovare la giusta concentrazione. Storia diversa è quando si arriva agli ultimi due piattelli di una finale olimpica. 

C’è il pubblico, a cui siamo poco abituati. Ti trovi in un campo da tiro sconosciuto. Dietro di te c’è un’avversaria che aspetta il suo turno di sparo e poi l’allenatore, il peso della pettorina azzurra, la famiglia lontana che ti guarda da casa. È facile andare da un’altra parte con la testa”. Poi c’è la parte atletica. “La stagione invernale è dedicata all’allenamento fisico. Facciamo molto cardio, per poter controllare respirazione e battito cardiaco”. Vi assicuro però che anche una certa struttura fisica è necessaria per sostenere il peso del fucile e il rinculo per tutto l’arco di una gara. “Stare all’aria aperta tutti i giorni e a contatto con la natura è l’aspetto più bello di questo sport per me”. 

tiro volo piattello
Uno dei piattelli colpiti

Il Tiro al volo e la responsabilità di un’arma

Stando sul campo, abbiamo avuto modo di conoscere l’ambiente del tiro al volo. Complice anche una comunità di appassionati oggettivamente ristretta, le persone si conoscono tutte. Sono in molti quelli che si fermano a guardare l’allenamento del Caporal Maggiore Bacosi, la salutano, le fanno complimenti e auguri. Primo tra tutti il suo allenatore, nonché proprietario del campo da tiro: Celso Giardini, ex tiratore con tre olimpiadi (’80, ’84 e ’88) di esperienza alle spalle. Mi chiedo se ci sia lo stesso clima anche in gara. “Il rapporto con le altre atlete è ottimo anche con le tiratrici straniere, al di fuori della pedana. In gara, però, non si guarda in faccia a nessuno”. Che detto, con un fucile in mano, fa il suo effetto.

Parlavamo di comunità ristretta, o sport di nicchia direbbero alcuni. “Indubbiamente il nostro sport non gode della popolarità degli altri. Alle olimpiadi si accendono i riflettori perché vinciamo ma poi, spento il bracere olimpico, cala anche l’attenzione“. Eppure, stando al medagliere olimpico del tiro al volo, l’Italia è seconda solo agli USA con 30 medaglie totali (11 ori). Forse, la presenza del fucile lo fa sembrare uno sport pericoloso? “Probabile – risponde Diana Bacosi – ma non è assolutamente così. C’è tanta disciplina, autocontrollo e conoscenza di se stessi. Ricordo la prima volta che mio padre mi fece provare in pedana: ricordati che questa è un arma – disse – ed è una tua responsabilità”.

diana bacosi esercito

La tiratrice olimpica e gli esport

Il Tiro al Volo è uno sport olimpico fin dall’edizione del 1900. Ha partecipato a ventidue edizioni dei Giochi ed è uno sport in cui si spara ad un bersaglio in movimento con un’arma da fuoco. Noi de l’Atleta, che abbiamo un occhio sempre aperto al mondo esport, abbiamo subito pensato all’annoso dibattito del riconoscimento degli sport elettronici. Il grande ostacolo dasuperare per vederli nel novero degli sport olimpici, infatti, è proprio la presenza in molti di questi di elementi giudicati violenti. “Anche mio figlio ci gioca, lo seguo molto in questo aspetto. Devo dire che i ragazzi si immedesimano molto in certi giochi. Non fino al punto di diventare violenti, certo ma ho notato in lui molto nervosismo, molta ansia“.

Conosciamo gli effetti del burnout su molti videogiocatori, conseguenze di un’attività non controllata o gestita nel modo giusto. Bisogna fare poi una distinzione fondamentale, tra agonismo e dilettantismo. Anche i ragazzi degli esport vanno allenati, educati, seguiti e protetti nell’attività che fanno. Come ogni altro sport, esagerare negli allenamenti, in uno spirito competitivo malsano o senza la giusta consapevolezza, può essere pericoloso. Facendo un confronto forzoso ma calzante, giocare di notte, senza pause, senza il giusto stato mentale, non sarebbe poi diverso da un tiratore che si allena alle quattro di notte sparando da solo al poligono: alzi la mano chi gli offrirebbe un passaggio per tornare a casa.

spot_img