“Oggi che il Jiu Jitsu è il mio lavoro, lo continuo a considerare come un gioco”. Remo Cassella, ricci scapigliati e pelle tatuata, non è il classico armadio a due ante ma sul tatami è un mostro. Classe 1989, pratica il Jiu Jitsu Brasiliano dal 2008, arrivando a lottare nelle manifestazioni internazionali più importanti. Dal 2011 è maestro e alla sua attività atletica, ha affiancato quella lavorativa: la Nemeos Jiu Jitsu è un’accademia da lui fondata e che si affaccia con grandi aspettative sul panorama del BJJ (Brazilian Jiu Jitsu) italiano.
“Per me è molto importante che chi pratica quest’arte marziale, lo faccia in modo sereno e con tranquillità“. L’approccio è più da filosofo che da combattente. “Preferisco non caricare il Jiu Jitsu Brasiliano di significati non sportivi. Io sposo il pensiero di Roger Federer, che, a un giornalista che gli chiedeva perché giocasse a tennis, rispondeva: ‘perché mi piace’”.
Brazilian Jiu Jitsu: gli insegnamenti della Nemeos
Remo Cassella è un maestro un po’ anomalo, soprattutto se si hanno in mente degli stereotipi ben precisi: siamo più o meno a metà strada tra il maestro Miyagi di Karate Kid e l’Eremita della Tartaruga, leggendario sensei di Goku in Dragonball. Da una parte il filosofo ed esteta della disciplina, profondo e a volte imperscrutabile maestro che trasforma innocui ragazzini in atleti eccezionali: togliendo e mettendo cera. Dall’altra, l’anima un po’ ribelle ed estroversa, in grado di creare non solo un metodo di allenamento efficace ma anche un ambiente familiare e legami profondi tra i suoi allievi: senza spruzzare sangue dal naso.
“Contesto molto – ci dice Remo – chi interpreta la lotta come una guerra. La guerra è brutta, ‘fare a pizze’, come diciamo a Roma, è brutto“. Il maestro, così come l’allievo, devono quindi avere ben chiara la finalità della lotta che è prima di tutto un gesto sportivo. Questa è la base della filosofia di insegnamento della Nemeos Jiu Jitsu. “Quello che cerco di trasmettere ai miei allievi è la serenità di salire sul tatami senza troppi pesi addosso. Bisogna lottare per vincere ma è altrettanto vero che una sconfitta non porterà chissà quale onta sull’accademia e di certo non farà di te un atleta peggiore“.
Come si diventa forti nel Brazilian Jiu Jitsu
“Per essere forti nel Brazilian Jiu Jitsu bisogna prima di tutto imparare ad accettare e accogliere chi è con noi sul tatami: che sia un avversario o un compagno di allenamento“. Questo perché, ci spiega Remo “essere forti vuol dire saper reagire a ogni situazione che si può presentare durante una lotta“. Non basta, infatti, avere una grande tecnica personale: “è molto raro riuscire a salire sul tatami e fare solo quello per cui ci si è allenati. Per vincere bisogna studiare l’avversario e riuscire a reagire alla sua tecnica“.
Reagire. In una lotta è facile cadere, trovarsi schiena a terra con tutto il peso del tuo avversario addosso che cerca di chiudere l’incontro. “La bravura è tutta in quel momento: riuscire a ragionare lucidamente nonostante lo sforzo e la tensione. Avere in mente la chiara immagine di come riuscirai a ribaltare la situazione“. Un po’ come può succedere a chiunque nella propria vita quotidiana: si cade, a volte rovinosamente ma bisogna rialzarsi; bisogna reagire.
Violenza e rispetto nel BJJ di Remo Cassella
Sbaglia chi pensa che la lotta sia violenza e forza bruta. “Il gesto violento non è mai un atto sportivo – dice Remo -. In palestra, come nelle gare, la prima regola è la salvaguardia dell’atleta: i gesti vanno misurati sempre, per non rischiare di danneggiare seriamente se stessi o l’avversario“. Come in molte arti marziali, anche nel BJJ la componente di rispetto e nobiltà è molto forte. Anche perché, soprattutto ad alti livelli, sul tatami salgono veri e propri mostri di forza e di tecnica: “se mancasse l’elemento di rispetto dell’avversario, vedremmo braccia rotte e atleti strangolati ad ogni gara“.
Anche dal punto di vista atletico, oltre che sportivo, la violenza non porta proprio a niente: “il gesto portato con pura forza, disperde molte energie. Con la violenza – spiega Remo – non può esserci quel rapporto a due che, invece, dovrebbe essere la base del BJJ. Se sali sul tatami per fare male o per chiudere la tua tecnica più potente, non riuscirai a concentrarti abbastanza sul tuo avversario: perché non lo rispetti“.
La miglior vittoria e la peggior sconfitta
Queste consapevoleze sono frutto dell’esperienza di Remo Cassella: accumulata sia sul tatami che sui libri. Gli studi e la laurea in scienze politiche, hanno aiutato il maestro a codificare la sua idea di Jiu Jitsu: “ho capito innanzitutto che la cosa più importante è riconoscere i propri limiti se si vogliono ottenere i risultati. Quando preparavo la tesi di laurea, ad esempio, affrontai una gara molto importante. Ero convinto di poter dare il 100% sia in gara che sui libri ma mi sbagliavo. Presi una sonora ripassata e mi resi conto che stavo pretendendo troppo da me stesso e rischiavo di non ottenere nulla“.
Il momento della gara è decisivo per un atleta. Non vengono messe alla prova solo le sue abilità tecniche e fisiche ma anche la sua stabilità emotiva. È un momento di tensione e di giudizio a cui in molti non reggono. “Da quando sono salito sul tatami sereno per la prima volta – racconta ancora Remo – è stata tutta un’altra cosa. Una delle mie lotte più belle la ricordo proprio per l’atmosfera“. Remo aveva dalla sua solo il tifo furioso del suo angolo: “c’erano il mio maestro, i miei compagni d’accademia e i miei allievi, sembravano impazziti e hanno tifato forte tutta la gara. Mi è servito a vincere ma anche a capire che tramite questo sport potevo veramente emozionare le persone“.