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Rachele Somaschini: correre per un respiro

Rachele Somaschini esce dall’abitacolo della sua Peugeot 208 come farebbe una sorpresa da un coloratissimo uovo di Pasqua. Non un banale portachiavi ma uno di quei giochi da montare, che ti tenevano lì almeno per tutto il pranzo. Riusciamo a intercettare lei e la sua copilota tra i rombi dei motori delle vetture, pronte per la partenza del Rally di Roma Capitale 2020. Tra i primi appuntamenti rallistici, dopo il lock-down. Il palcoscenico è di quelli importanti, la competizione è tanta e internazionale: questa è la prima tappa di un European Rally Championship particolare. Rachele non teme nessuno. Il suo nemico più grande, in fondo, lo combatte ogni giorno, da quando è nata.

Rachele Somaschini: “a 26 anni sono una donna di mezza età”

Essere una donna in un contesto, quello del motorsport, tradizionalmente maschile, è una sfida. Ci perdonerà chi vive nel mondo dei sogni ma questa è la realtà. Può essere una sfida ancora più ardua presentarsi a un Campionato europeo di Rally con una navigatrice e una macchina nuove. Per qualcuno potrebbe essere impossibile guidare in un abitacolo che può arrivare a 60 gradi. Per molti, forse tutti, sarebbe impensabile farlo se si è affetti da una malattia respiratoria grave. Questo, per Rachele Somaschini è la normalità. “Sono nata con una malattia genetica, la fibrosi cistica, che colpisce gli organi interni e rende progressivamente più difficile respirare. La pilota milanese non si fa sconti, perfettamente consapevole della propria condizione. “Questa malattia ha un’aspettativa di vita di 40 anni. Io ne ho 26: questo fa di me una donna di mezza età.” Sentirselo dire guardandola negli occhi, fa un certo effetto.

Rachele, però, è cresciuta tra le macchine. “Mio padre è da sempre un patito di Rally. È stato un pilota e da lui ho ereditato la passione per la velocità. Il rombo assordante delle macchine modificate, vederle derapare sgommando sulle curve, percepire le vibrazioni del terreno quando uno dei bolidi frena di colpo: sensazioni che potrebbero spaventare un bambino. “Io ne sono sempre stata innamorata: i rumori, la velocità, l’odore delle gomme sull’asfalto. Fin da bambina sapevo che quello era il mio mondo.” Ecco, pensate quanto sarebbe stato inutile regalare una bambola a una piccola Rachele Somaschini. “Il fatto che il rally e, più in generale i motori, siano considerati sport e ambienti maschili è un fatto culturale: ai maschi si regalano le macchinine, alle femmine le barbie. Ma io non ho mai giocato con le bambole e ho sempre amato la velocità.”

Rachele Somaschini al Rally di Roma Capitale / pic. Nicolò Masini

Correre per un respiro

Classe 1994, Rachele Somaschini prende la patente nel 2012, non per andare a ballare il sabato sera con gli amici ma per correre. D’accordo, in discoteca non ci sarebbe andata lo stesso “perché evito da sempre luoghi affollati come discoteche, cinema o teatri a causa della mia malattia. A 18 anni, il desiderio più grande che avevo era infilarmi un casco in testa e andare a correre.” Nessuno, quando è nata, si sarebbe aspettato di vederla derapare sulle curve, figurarsi competere ai massimi livelli del Rally. Oggi Rakellyna (così su Instagram) è, non solo una dei migliori piloti del panorama rallystico italiano ma anche una testimonial e un punto di riferimento per chiunque soffra della sua stessa patologia. Insieme alla Fondazione Fibrosi Cistica, infatti, Rachele promuove la ricerca in ogni gara che affronta.

Sulla sua macchina, tra le aerografie degli sponsor, non mancano mai quella della Fondazione Fibrosi Cistica e quelle di Correre per un Respiro. “L’iniziativa è nata con me, non potevo pensare di correre e non usare la mia visibilità per una causa che mi riguarda così da vicino. Negli anni, tra gare ed eventi, abbiamo raccolto più di 130.000 euro che sono andati alla Task Force For Fibrosis che si occupa della ricerca di una possibile cura.” Perché, ad oggi, una cura non c’è. “Io sono fortunata, perché ho una forma più lieve rispetto a quella di miei altri coetanei, questo mi permette di fare sport seguendo un protocollo molto rigido.Abbiamo già accennato al distanziamento sociale che Rachele Somaschini, e molti altri, hanno sempre dovuto rispettare. Oltre a questo, pillole, respiratori, fisioterapia respiratoria, cicli giornalieri che la costringono a girare sempre con una valigetta in più: “quella del respiratore, che devo usare per due ore, due volte al giorno, quando mi sveglio e prima di andare a dormire.”

La Peugeot 208 rally / pic Nicolò Masini

Rachele Somaschini al Rally di Roma Capitale

Dopo i tanti mesi di stop forzato, è bello vedere di nuovo un grande evento sportivo. È ancora più soddisfacente vederlo prendere vita nel centro di Roma. Nei mesi di lockdown, quando io mi affacciavo dal balcone, Rachele Somaschini era già in quarantena volontaria. “Il 24 febbraio, dopo il primo caso accertato, mi sono trasferita momentaneamente in montagna, in un paesino di 30 abitanti: non potevo rischiare.” Come molti atleti, si è tenuta in forma al meglio che poteva. Come altri colleghi, ha fatto ricorso ai simulatori per tenere la mente, almeno virtualmente, sulla strada. “È stato un periodo difficile, per tutti. Vedere di nuovo la linea di partenza di una gara così importante è un’emozione e la cornice di Roma non poteva accoglierci meglio.”

Tutta la manifestazione, che ha avuto il suo cuore organizzativo a Fiuggi a pochi chilometri da Roma, si è svolta nel pieno rispetto delle norme anti-Covid. Niente pubblico delle grandi occasioni. Interviste, fotografi e celebrazioni ridotti al minimo. Anche le premiazioni sono state anomale: con i piloti che devono ritirare il premio da soli, niente abbracci né strette di mano e le mascherine a coprire i sorrisi o le amarezze. “Per me era molto importante ripartire e farlo ufficialmente da Roma, gara a cui sono molto affezionata.” È invece la prima volta al Rally romano per Giulia Zanchetta, nuova co-pilota di RS team. Anche questo avvicendamento è diretta conseguenza del lockdown. “Molti hanno dovuto rinunciare alle gare e agli allenamenti a causa della quarantena. In molti hanno perso il lavoro, l’unica fonte di sostentamento, oltre gli sponsor, per atleti come noi.”

Un equipaggio femminile

Ripetiamolo: le rallyste sono davvero poche. Anche in un palcoscenico importante come un campionato europeo (o forse a maggior ragione) gli equipaggi femminili si contano sulle dita di una mano, al massimo due. “Ho sempre corso con un’altra ragazza a fianco. Credo sia giusto così ed è anche divertente sfatare qualche mito. Siamo atlete e automobilisti come gli altri: gareggiamo, vinciamo, perdiamo.” Eppure si vede, anche dall’attenzione mediatica, che una pilota donna fa notizia. “È vero, spesso godiamo di maggiore visibilità ma perché siamo poche. Questa visibilità, però, deve essere sostenuta dai risultati, altrimenti diventa un boomerang.”

Non esiste niente che possa impedire a una pilota di correre nei Rally. Ci vuole una buona macchina, questo sì. Qualcuno dirà che ci vuole ‘il manico’, che proprio dalle parti di Roma sta a indicare la manualità, l’abilità nel fare bene una determinata attività. A Rachele Somaschini il manico non manca. Non le manca per guidare come una pazza tra le curve, non le manca per affrontare la fibrosi cistica e nemmeno per essere una donna in un mondo molto (forse troppo) maschio. La lasciamo, quindi, con delle domande banali, che potrete trovare nel video qui sotto, di cui voglio riportarvi solo la risposta alla domanda, sai parcheggiare? “Sì. Anche con il freno a mano. Ti insegno?

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