Katia Serra: “Beate le bimbe di oggi, loro devono tenere viva la passione”

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Katia Serra era poliedrica in campo e lo è rimasta anche fuori. Ex calciatrice, commentatrice sportiva, consigliera della divisione calcio femminile nella Figc, responsabile calcio femminile dell’Associazione Italiana Calciatori, docente universitaria (unico esempio in Italia sul calcio femminile), formatrice di futuri allenatori nella scuola di Coverciano. Si definisce, in altre parole, una divulgatrice del calcio giocato dalle ragazze. “Ho cercato e cerco di costruire una strada più semplice di quella che ho dovuto percorrere io per le nuove generazioni”.

Katia Serra e il calcio femminile della sua generazione

Katia Serra, classe ’73, appartiene a quella generazione di calciatrici che hanno avuto la strada più impervia per arrivare dove sono arrivate, che hanno dovuto fare amicizia col sacrificio quotidiano. Una generazione che non sa cosa significhi tutele o assistenzialismo e che ha lottato per conservare anche la maglietta di gioco dopo la partita. Sportive che tuttavia grazie alla loro tenacia hanno spianato un cammino, ancora lungo, ma tuttavia diverso rispetto ai loro tempi. Dopo averci espresso la sua idea di sport definendolo come “vita, passione, emozione, superare i propri limiti” Katia Serra ci inizia a raccontare il calcio femminile agli inizi della sua carriera. “All’epoca si giocava solo in prima squadra perché non esistevano settori giovanili del calcio femminile. Ho iniziato in serie B a 13 anni, con tutti i pro e i contro di trovarsi bimba in uno spogliatoio di adulte”

Se ti facevi male dovevi vedertela tu per le cure e la ricerca delle strutture di cura. Inoltre c’erano pochi allenamenti settimanali e magari a grande distanza da casa per cui diventava un viaggio per andare e un viaggio per tornare. Io pur di migliorarmi sempre più, mi sono allenata anche con una squadra di promozione dove giocava mio fratello. Insomma mancava un sistema che ti sosteneva, eri autodidatta in tutto e per tutto“. Ma non solo. Una mancanza imperdonabile dell’epoca quella di non dare memoria delle gesta sportive. Perché? “Non ci lasciavano neppure la maglia di gioco. Dopo le partite le dovevi restituire e non averle oggi è un grande rammarico per me” confida Katia che poi aggiunge “mancavano le basi per poter essere competitive a livello internazionale”.

“Il nostro domani, ora”

Così ricorda del suo periodo spagnolo alla società Levante. “Già dieci anni fa in Europa il calcio femminile aveva la sua dimensione. Le persone non mi guardavano come un marziano e la società sportiva stessa poneva condizioni migliori per l’atleta nonostante fosse più difficile farsi spazio perché sono campionati più competitivi, diversi da quello italiano. Ma è un’esperienza necessaria anche e soprattutto per importare la mentalità che manca in Italia“. Da noi ancora molto deve essere fatto. Basta pensare che con il nuovo governo Draghi non è stata confermata la presenza di un ministro allo sport. Questo viene mal digerito da Katia Serra che aggiunge “servirebbe un ministro con portafoglio per mettere al centro delle politiche lo sport e per costruire una struttura che si radichi dal centro alle periferie. Tutti i decreti sono lotte di potere più che ascolto delle reali esigenze“.

Nel frattempo è stato appena rieletto Gabriele Gravina come presidente Figc e ha presentato il progetto “Il nostro domani, ora“, strategia di sviluppo del calcio femminile. “L’obiettivo è innanzitutto raddoppiare il numero delle tesserate, un progetto ambizioso ma è giusto che sia tale: i numeri devono crescere per poter fare il salto all’agonismo nel luglio 2022. Inoltre occorre valorizzare di più le nazionali, anche quelle giovanili. E’ poi necessaria una politica di visibilità dietro ogni ragazza aldilà dei risultati. L’informazione e la conoscenza sono fondamentali. Infine dare tutele al passo coi tempi a chi ci lavora e strumenti alle società per generare business e politiche di marketing che sono alla base della crescita del movimento“. Obiettivi grandi e mirati anche se, aggiunge la Serra “Onestamente ancora deve essere fatto tutto”.

Calcio femminile: una questione di educazione

Al netto delle tutele e delle misure politiche che legittimerebbero il calcio femminile c’è poi un’educazione sociale su cui lavorare per scardinare alcuni aspetti. “Il primo riguarda il fisico e l’idea che sia determinato dallo sport. Non è vero. Il nostro corpo dipende dal nostro DNA, lo sport lo condiziona per un 15%. Un’altra idea ancora viva è quella che l’identità sessuale sia influenzata dallo sport. I percorsi sono dettati dall’ambiente familiare, scolastico, amicale e sportivo; limitare la scelta del proprio orientamento allo sport è una visione restrittiva e arretrata. Poi c’è l’idea di femminilità. Il calcio è poco femminile, ma è più importante che ognuno esprima se stesso come ritiene più opportuno. Questo dà una serenità impagabile“. A questo aggiunge: “L’atleta va giudicata per le sue capacità non per il suo aspetto fisico io rifiutai di fare un calendario quando capii che erano più interessati ad un corpo che all’atleta”.

Difficoltà che riguardano non soltanto chi gioca a calcio ma qualunque mestiere ruoti intorno a questo. Lei è anche commentatrice sportiva, pioniera anche in questo mestiere principalmente maschile. “Sentir parlare una donna di tecnica e tattica con disinvoltura comporta pregiudizi e dunque ostacoli. Questo anche perché appartengo alla generazione più sconosciuta anche se è la generazione apripista. Beate le bimbe di oggi! La fama di cui godono oggi non è fame di gloria ma possibilità di legittimare, anche quando smetteranno di giocare, mestieri che gravitano intorno a questo sport. Ma a loro dico di non perdere il fuoco che ha spinto invece la mia generazione a superare ogni ostacolo”. Katia Serra praticava anche atletica e basket oltre al calcio, poi un infortunio le fece di rischiare di smettere. In quel momento fu l’orgoglio a spingerla a proseguire solo con il calcio, lì si era interrotta e li avrebbe continuato. E ha fatto bene.

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