Dario Bacci è il presidente dell’Unione Italiana di Brazilian Jiu Jitsu, nonché Head Coach dell’accademia Budo Clan. Con lui abbiamo conosciuto meglio quest’arte marziale e disciplina di difesa personale nata in Brasile molto tempo fa e che, paradossalmente, somiglia più agli scacchi che alla boxe.
Jiu Jitsu: poco fisico più cervello
Il BJJ (Brazilian Jiu Jitsu) è un’arte complessa già a partire dalla definizione. Arte marziale? MMA? Lotta? Disciplina? In realtà trascende da queste voci per essere un po’ tutte. Certamente sappiamo che fa parte delle MMA e nasce in Brasile, da dove si è diffusa in tutto il mondo. Dario Bacci che di Jiu Jitsu se ne intende ce la fa conoscere meglio. “Non è una disciplina intuitivamente facile. Anche solo l’osservazione non rende chiaro cosa sta succedendo. Questo penalizza un po’ la spettacolarità”. Dunque per ovviare al problema della difficoltà, ce la racconta partendo proprio dalle MMA. “E’ un modo di combattere che non pone limiti anche se nell’evoluzione attuale ha tolto gli atti troppo dannosi per il fisico come i morsi o le dita negli occhi, le cose più primitive. Ci sono i colpi della boxe, i calci della taekwondo, il mondo del proiettare della judo.“
Un mix di stili in cui la prestanza fisica non è la caratteristica principale. Elemento che pone il BJJ al centro di un allenamento di MMA, spiega Bacci “La fisicità nel Brazilian Jiu Jitsu è importante ma non fondamentale: grazie all’utilizzo di alcune leve e alcune movenze si riesce a gestire una forza anche più grande della nostra, è molto più importante la struttura strategia che quella fisica“. Ecco da cosa deriva il paragone con gli scacchi. Bisogna sviluppare una capacità e un estro motorio che metta nei guai anche chi è forte a colpire. “Ecco perché è molto praticato anche dalle donne. Una donna può battere un uomo nonostante la forza e la prestanza fisica siano per natura diverse. Viene scelto per imparare tecniche di difesa personale”. aggiunge Dario. Ma non solo. Per lo stesso motivo è adatto proprio a tutti: “Ho visto non vedenti combattere partendo da in piedi, anche persone senza una mano perché non è fisico ma cervello“.
Brazilian Jiu Jitsu: l’obiettivo nel combattimento è rendere inattiva la difesa dell’altro
Infatti quando chiedo a Bacci quali sono le caratteristiche che rendono una persona più portata rispetto ad un’altra per praticare questa disciplina lui è perentorio :”Ho smesso di credere che ci siano persone più portate di altre. Questo perché chi si sente meno adatto dà di più di chi, ritenendosi portato, sbaglia per eccesso di sicurezza. Il talento fa distrarre e fa dare quel tassello in meno”. Questo perché per imparare quest’arte si parte davvero da zero, spiega Bacci. “Il pugile combatte da in piedi, il fisico è predisposto per stare in piedi, camminare, saltare, correre. Il Brazilian Jiu Jitsu è lotta a terra e il corpo umano non è abituato a muoversi per terra. Imparare a farlo è come reimparare a camminare. Per questo si devono imparare movenze particolari e se uno non le ha può diventare davvero vulnerabile. Perché non bastano la forza o la capacità di colpire“.
L’evoluzione del Jiu Jitsu brasiliano è infatti combattere per terra. Si parte da in piedi per poi svolgere principalmente il combattimento a terra. “La cosa rivoluzionaria è che chi è schiena a terra è particolarmente offensivo, nonostante la posizione sottostante, che non vuol dire sottomessa. Anzi molte volte gli atleti usano come strategia il lanciarsi con la schiena a terra perché può essere un punto di forza in cui l’obiettivo è rendere inattiva la difesa dell’altro”. La capacità dunque di costruire la strategia di attacco si riflette psicologicamente come capacità di sormontare le difficoltà. “Sono situazioni fisicamente stressanti ed oppressive in cui bisogna abituare il corpo ad uscire da quella situazione. E’ una continua lotta ed evoluzione psicologica: impari che c’è sempre una soluzione in termini di spazio e tempo. Impari a prevedere l’avversario“. Da qui il paragone con gli scacchi e l’utilità per i bambini che nel farlo impareranno quanto nella vita c’è una soluzione a tutte le avversità e che il pericolo è un concetto soggettivo.