Che i giochi competitivi portino spesso con sé un ambiente saturo di tossicità non è cosa nuova. In un gioco in cui il più delle volte si è costretti a fare squadra con persone totalmente sconosciute, può scatenarsi il lato più oscuro di un giocatore. Emerge un animo logorato dalle innumerevoli partite perse per colpa del “senza mani” di turno. La frustrazione conduce ad uno degli stati più rischiosi per un giocatore: il tilt. Influisce sulle prestazioni, sulla propria salute mentale e sul modo che abbiamo di rapportarci a gioco e giocatori.
Tossicità e Riot Games, un binomio fin troppo famoso
Il tilt, come dice la parola stessa, è uno stato mentale in cui si è arrivati all’esasperazione. La maggior parte delle volte è causa di assenza di ragionamento, rabbia ed aggressività verbale nei confronti dei propri compagni di squadra. Spesso, questo status, può portare al burnout. Uno dei problemi più gravi a cui porta il tilt, è proprio l’incapacità di riuscire a godersi l’esperienza di gioco, e di non performare come si vorrebbe o come si è abituati a fare. E’ un problema che può capitare a tutti, dal pro player al neofita, con l’unica differenza che i primi sono più facilmente abituati a gestirlo.
Il tilt conduce anche alla tossicità, cosa per cui la community di League of Legends si è purtroppo sempre contraddistinta. Data l’enorme mole di giocatori che ogni giorno scoprono il celebre MOBA di Riot Games, è in un certo senso “normale” trovare un tipo di atteggiamento negativo. Le partite classificate della SoloQ sono piene di flamer seriali, di troll, di intentional feeders o di gente che probabilmente sta avendo solo una brutta giornata. Ma la tossicità è virale. Quando una persona tiltata da una partita precedente rovina il game ad un’altra, il virus comincia a diffondersi. Da tilt nasce tilt, da flame nasce flame, e il gioco spesso risulta pesante a causa di persone di scarsa maturità che arrivano fino a provare piacere nel rovinare le partite altrui.
La denuncia di Voyboy e la risposta di Riot Games
La decima stagione di League of Legends, però, per molti è diventata insostenibile. Dopo dieci anni dalla creazione del gioco, i giocatori, o gran parte di questi, si sono stancati di iniziare una partita e avere la perenne sensazione di essere entrati in un canile di Rottweiler inferociti. Voyboy, celebre ex pro player americano, ora streamer a tempo pieno e conosciuto come giocatore dalla straordinaria attitudine positiva, ha pubblicato un video diventato virale in poco tempo. “The sad state of League soloQ” non è l’ennesima lamentela persa nell’etere di mille voci insoddisfatte, ma una vera e propria richiesta d’aiuto alla casa produttrice. Ciò che Voyboy chiede alla Riot è di intervenire, in modo che gli amanti del gioco possano tornare a godersi League of Legends serenamente.
Con più di un milione di visualizzazioni sul suo canale nel giro di poco tempo, il video è arrivato a chi di dovere. Con lo scopo principale di limare la frustrazione da quello che, per quanto competitivo possa essere, rimane un gioco, Riot ha subito preso dei provvedimenti. Ha aumentato la severità delle punizioni per chi abbandona la partita o fa di tutto per farla perdere al proprio team, e limitato la perdita di punti quando si hanno in squadra AFK. La cosa che ha reso più felici i giocatori è l’introduzione della “Smurf Queue”. Un sistema che permette di individuare giocatori di livello più alto che giocano su un secondo account, facendoli giocare uno contro l’altro.
Tossicità e trashtalking, il mondo dell’esport
Nel mondo dell’esport, quello professionistico, la situazione è chiaramente diversa. Le punizioni sono sempre state severe: Riot Games infatti non permette ai pro player di partecipare alle competizioni se hanno ricevuto una sospensione o un ban del loro account di gioco. La tossicità è cosa ben diversa del goliardico trashtalking. Lo sfottò dei pro player nei confronti degli altri fa parte del gioco. E’ un modo come un altro per un ragazzo giovane di divertirsi con i suoi colleghi. Un giocatore particolarmente avvezzo al trashtalking è Perkz. Il nuovo midlaner dei C9, il giorno prima della sua partita d’esordio, ha annunciato che avrebbe finito lo split senza morire neanche una volta. Detto fatto, prima partita, prima sconfitta, con un pessimo score di 4/7/2. Il suo account Twitter è stato inondato di sfottò da tutto il mondo competitivo.
I pro player sono di solito anche streamer o influencer, con una loro community di sostenitori. Questi tifosi, molto spesso giovanissimi, non sempre comprendono appieno la differenza. Rischiando di fraintendere il messaggio, arrivano ad emulare il loro beniamino con atteggiamenti ben lontani dal messaggio che lui voleva trasmettere.