Fino ad oggi siamo stati abituati a pensare alle dirette degli eventi esports come a un servizio gratuito e di certo non in pay per view. Nonostante l’introduzione di alcuni servizi aggiuntivi a pagamento, come ad esempio il Pro View proposto su League of Legends o un broadcast più personalizzato per la Overwatch League, la stragrande maggioranza dei contenuti esports sono gratuiti. Ma è una scelta sostenibile?
Sport vs esports: da dove arrivano i ricavi?
Una delle principali differenze tra gli sport tradizionali e gli esports è rappresentata dalle entrate economiche dei due settori. Quando si parla di sport sono soprattutto due le voci che permettono al sistema di sostenersi finanziariamente. Pensiamo al calcio, ad esempio, e al recente annuncio che l’incasso del primo derby di Champions tra Milan e Inter supererà i 10 milioni di euro. Una cifra impensabile per un evento esports dal vivo che dipende ovviamente dal prezzo dei biglietti: 69 euro il minimo per guardare la semifinale della competizione europea.
Se prendiamo invece ad esempio l’Lec di League of Legends, assistere a un’intera giornata di campionato della durata di cinque ore con cinque sfide e la possibilità di vedere all’opera le 10 squadre della massima competizione internazionale costa meno di 20 euro. Per appena 200 posti, contro gli oltre 70.000 posti di San Siro. Discorso simile per i diritti televisivi, o quasi. I diritti di broadcast in alcuni casi sono “venduti”, seppur a modiche cifre, alle varie aziende interessate a trasmetterli ma queste non si rivalgono mai sugli spettatori offrendo un servizio pay-per-view. In Italia Sky e Dazn pagano centinaia di milioni di euro per assicurarsi la trasmissione dei match di Serie A, mettendo poi a disposizione la visione dietro pagamento dell’utente finale.
L’inverno dell’esports
I ricavi che la Lega Serie A ottiene dalla vendita dei diritti televisivi vengono poi suddivisi tra le squadre, contribuendo a rendere il più possibile sostenibile il sistema che in questo modo ricompensa club e broadcaster. Negli esports questo tipo di meccanismo non è ancora stato introdotto, forse ostaggio del mantra per cui ciò che troviamo su piattaforme come Twitch e Youtube, le principali che si occupano di gaming e esports, è sempre stato gratuito. Anche se in realtà, almeno indirettamente, questo aspetto non è del tutto veritiero, considerato che per accedere a questi siti è necessaria una connessione a internet e un abbonamento a un provider.
Attualmente gli esports allora su cosa si basano per la loro sostenibilità? Sulle sponsorizzazioni. Secondo uno degli ultimi report targati Newzoo disponibili sull’argomento, nel 2020 il 58% dei ricavi del comparto esports è arrivato dalle sponsorizzazioni, pari a 615 milioni di dollari su un totale di poco più di un miliardo. In questo report i media rights coprono appena il 17% degli introiti, mentre merchandise e ticketing ancora meno, il 10%. Numeri che fino a questo momento sono sembrati sufficienti per rendere sostenibile il settore ma che ne dimostra anche la sua fragilità. Nel momento storico attuale di incertezza in cui stiamo vivendo anche l’esports soffre perché sono proprio le sponsorizzazioni ad aver in qualche modo mollato il colpo, creando quello che viene chiamato “inverno dell’esports”.
Gli esports in pay per view
A sollevare nuovamente la questione negli ultimi giorni è stato Adam Apicella, fondatore di Esports Engine e tra i primi impiegati della MLG, storico tournament organizer nordamericano. Apicella ha sottolineato su Twitter come sui vari Reddit dedicati all’esports in molti si lamentano della production legata agli eventi. “Una produzione ormai allo stesso livello degli eventi sportivi tradizionali ma che guardiamo gratuitamente”, senza considerare invece quanti costi comporti organizzarli per i vari broadcast.
Ha colto così la palla al balzo Erik ‘DoA’ Lonnquist, caster di lungo corso e affermato su più titoli che su Twitter ha ripreso il commento di Apicella. Scrivendo: “Volete vedere l’esports crescere? Iniziate a proporlo a pagamento per gli eventi del fine settimana e a mettere la disponibilità delle differite in abbonamento”. Secondo DoA infatti “pagare per fruire dei contenuti esports significa sostenere quel tipo di contenuto e permettergli di migliorare e crescere. Continuare ad affidarsi ai budget del comparto marketing delle varie aziende di gaming non ci porterà da nessuna parte”.
Ma i fan di esports pagherebbero il pay per view?
Le principali obiezioni alla proposta di DoA hanno riguardato soprattutto l’eventuale disaccordo degli appassionati che potrebbero decidere di non guardare più l’esports piuttosto che pagare. Anche se in regioni come il Nord America gli spettatori sono già adesso sempre meno. Comportando di conseguenza meno introiti. DoA ha inoltre risposto che la colpa è dei publisher che in un certo momento storico, anziché affidarsi a tournament organizer esterni, hanno iniziato a prodursi gli eventi competitivi internamente, prima su tutte Riot Games, “offrendo tutto gratuitamente senza un piano di sostenibilità per il lungo periodo”.
Secondo il reporter Jacob Wolf tuttavia la pay per view è un obiettivo ormai irrealizzabile. “Abbiamo condizionato talmente tanto il pubblico di appassionati esports da averlo fatto diventare un bambino viziato con contenuti sempre gratuiti”, ha risposto su Twitter. “E ora dobbiamo conviverci”. Il paradosso degli esports, in questo momento di crisi e di ridimensionamento delle aspettative, non è legato ai ricavi, che rimangono alti e sorprendenti per un’industria così giovane. È piuttosto legato ai costi, esorbitanti e in alcuni casi ingiustificato, che devono essere in qualche modo tamponati per permettere al settore stesso di continuare a esistere.