Donne ed esports, perché ci si fa questa domanda? Per quale motivo sentiamo il bisogno di dover specificare che all’interno di un esport ci siano donne o meno? Viviamo in un mondo estremamente maschilista, ma non dovremmo essere tutti uguali dietro ad un monitor, proiettati all’interno di un mondo virtuale? Abbiamo parlato di questo ed altro con Laura Dejou, conosciuta come NSTY. Ex pro player di CS:GO e vincitrice del titolo di campione del mondo femminile con il suo team, NSTY adesso è coach per il team di Fortnite di MCES.
I numeri bassi delle donne nell’esport
Quantitativamente parlando, le donne nell’esport non sono molte, anzi. Probabilmente è una questione di cultura, probabilmente è una questione di difficoltà da affrontare. Per NSTY il motivo è solo uno: “Secondo me le donne nell’esport sono poche perché non ci sono molte donne pronte ad impegnarsi per sfondare al massimo nel mondo competitivo”. Ovviamente non si tratta di una caratteristica innata rispetto al sesso maschile, ma di ostacoli da dover superare per raggiungere l’obiettivo. Mentre un maschietto che si appassiona ai videogame in giovane età non ha nulla di strano, una femminuccia viene vista con occhi ben diversi. E così inizia il lungo e tribolato viaggio verso la realizzazione dei propri desideri, su uno scoglio che in pochi si sognerebbero di superare.
Spostandoci su una questione meramente economica, la situazione non cambia. Gli ingaggi e gli introiti delle donne nell’esport sono infinitamente più bassi di quelli degli uomini. Questo è dovuto, perlopiù, dalla differenziazione di genere in alcuni titoli, e dall’appetibilità che questi hanno con gli sponsor. Laura, ad esempio, ha giocato nel campionato femminile di CSGO, molto meno seguito di quello maschile. “Siamo chiaramente uguali dietro ad un monitor. Questo è il motivo per cui dovremmo continuare a promuovere la varietà di genere negli esports, creando team di uomini e donne. Ma parlando della scena competitiva di CS, che esiste da quasi 20 anni, la differenza è ‘lecita’”.
Il campionato femminile di CSGO è stato creato per far sì che più donne si unissero al mondo competitivo. Con degli spazi limitati nelle squadre già esistenti e formate, un intero, nuovo panorama, ha fatto sì che ci fossero più possibilità per nuovi team di emergere.
Donne ed esport, il maschilismo da tastiera
Le donne negli esport sono continuamente vittima di sessismo, sopratutto da parte delle community dei videogames. Mascherando abilmente la propria identità dietro ad uno schermo, i cosiddetti “leoni da tastiera” si sentono autorizzati a dire cattiverie che normalmente non si sognerebbero neanche. Basti pensare al caso di Geguri, una tra le prime donne ad essere entrata nel mondo competitivo della Overwatch League, in un team di soli uomini. Talmente brava da avere un 80% di winrate con Zarya, ha dovuto combattere contro chi l’ha accusata di utilizzare un aim-bot. La “troppo brava per essere una ragazza” coreana, ha trasmesso in live streaming una partita in cui venivano inquadrate le sue mani, smentendo ogni malignità sul suo conto. Era davvero necessario?
“Le community dei videogames, sopratutto quelli competitivi e di squadra, sono spesso altamente tossiche, composte da giovani e immaturi. E’ il caso di Valorant, dove moltissime ragazze hanno denunciato un comportamento negativo nei loro confronti non appena entravano in chat vocale con altri giocatori. C’è sempre l’opzione di mutare la chat per non dover leggere o sentire niente, ma questo penalizza il livello del gioco, che è, appunto, di squadra. Su Fortnite ci sono molti meno casi, anche perché non c’è una chat di testo per comunicare”. L’esport veste il ruolo di pioniere all’interno di una cultura che si rifiuta di accettarlo come qualcosa di serio (“sono solo videogiochi” è una di quelle noiose frasi che si sentono rimbalzare ovunque). Avendo questo incarico di “disrupter della morale moderna”, non dovrebbe l’esport stesso essere libero da stupide barriere che quella stessa cultura impone, come il sessismo?
L’esempio degli influencer
“Una delle cose che ho potuto notare in Fortnite, però, è l’enorme influenza che molti pro player hanno sulla community”. Il popolare battle royale Epic Games, ha una fanbase molto varia, e questo include anche un gran numero di adolescenti. Questo diventa un problema quando anche gli influencer gamer, che possono essere pro, streamer, o entrambi, non si rendono conto del peso delle loro parole. “I pro player su Fortnite sono spesso molto famosi, con una community alle loro spalle. Hanno delle responsabilità, cosa che spesso si dimenticano, in quanto immaturi e non in grado di gestire una popolarità simile. Quando insulteranno su un social media, tutta la loro community agirà di conseguenza come supporto; e quando si lasceranno scappare un ‘Ahaha, le ragazze fanno schifo ai videogiochi’, anche se solo per scherzare, c’è il rischio che le loro parole vengano prese sul serio”.
Laura Dejou è una coach, con un’esperienza nel mondo del competitivo degna di un veterano. Come tale, le sue parole ad un’aspirante pro player possono essere solo che di ispirazione. “Ad una giovane ragazza che si approccia a questo mondo mi piacerebbe dire di non arrendersi mai, neanche di fronte a del trashtalking nei suoi confronti che sicuramente un giorno sarà costretta a sentire. Non è facile essere donne, ma se sei veramente innamorata di quello che stai facendo, e ti diverti a farlo, fa in modo che questo sia la tua forza per mostrare a tutti che sarai la migliore. Questo è stato il mio modo di farcela. Questo è stato il modo in cui infine, sono riuscita a conquistare il titolo di campione del mondo con il mio team di CSGO, qualche anno fa”.