Home CURIOSITÀ Vicenda Daniele Scardina: nella boxe ci si ammazza?

Vicenda Daniele Scardina: nella boxe ci si ammazza?

Il pugile di Rozzano è ancora in coma dopo l’intervento disperato alla testa per un’emorragia cerebrale. Situazione critica, ma stabile. Daniele Scardina tornerà nella boxe? Uno sport non ancora sicuro. Dal 2000, sono oltre 120 i pugili morti dopo infortuni sul ring. Il rischio è quello di ammazzarsi?

Daniele Scardina durante l’ultimo match perso contro De Carolis (fonte milanosportiva.com)

Paura e terrore per King Toretto. Daniele Scardina tornerà mai nella boxe? Cosa ci insegna la sua vicenda?

Un triste episodio ha sconvolto il mondo del pugilato e lo sport mondiale. Una settimana fa, Daniele Scardina è stato operato d’urgenza alla testa per una grave emorragia cerebrale. Il noto boxer milanese, soprannominato ‘King Toretto’, dopo gli allenamenti, stava effettuando scarico nella palestra FitSquare di Buccinasco. All’improvviso il malore. Forti dolori a orecchio e gamba, poi il crollo a terra e la perdita di coscienza. Fulmineo il trasporto all’Ospedale Humanitas di Rozzano e tempestivo l’intervento. “Si sono lesionate due vene dopo un brusco movimento” dirà il suo manager Alessandro Cherchi. A Daniele è stato aperto il cranio e rimosso ‘l’ematoma acuto sottodurale’ al cervello. Oggi è ancora in coma. Le condizioni restano gravi, ma stabili. La famiglia ha informato di qualche leggero miglioramento, che potrebbe far ben sperare, ma il quadro clinico resta complesso. Come si sveglierà? Daniele Scardina tornerà mai nella boxe?

A detta del Dott. Olivi no: “Considerando l’estensione dell’ematoma e la tipologia d’intervento, è improbabile che l’atleta possa tornare all’attività agonistica” ha dichiarato il Professore di Neurochirurgia e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma, in una recente intervista. Troppo grave l’infortunio e il malore che ha subito. Per di più al pugile italiano è stato aperto il cranio e nella boxe la testa è la parte più esposta ai traumi, ai colpi forti. Rotture vascolari venose possono capitare a chiunque dopo traumi o movimenti particolarmente bruschi, ma è normale che individui sottoposti a traumi ripetuti, sono più soggetti a questi episodi. La boxe, quindi, è uno sport pericoloso? In gergo viene definito ‘sport rischioso’, ma diciamo le cose come stanno. Ad oggi il pugilato è una disciplina pericolosa e gli oltre 120 morti, dal 2000 in poi, a seguito di infortuni sul ring, confermano ciò.

L’ulitmo tragico colpo subito da Patrick Day, primo del crollo sul ring e la morte in ospedale pochi giorni dopo (fonte fanpage)

L’unico sport dove vince chi fa più male all’avversario

La boxe non è calcio, atletica o tennis, dove si gioca e si supera lo sfidante con abilità tecniche, con le giocate. Nel pugilato non si gioca. Sul ring si sale per combattere, è l’unico sport dove vince chi fa più male all’avversario. Vogliamo semplificare ancora di più? Nel pugilato si lotta per causare una commozione cerebrale. Diretti sul cranio, ‘cazzotti’ in pieno volto o conficcare ‘jab’ ai lati della mandibola. È più che normale, quindi, pensare che episodi come quello di Scardina siano naturale conseguenza di questi traumi ripetuti. Inoltre, ‘King Toretto’ veniva da un momento sportivo particolare. Nell’ultimo match disputato, aveva subito una grave sconfitta contro Giovanni De Carolis (pugile molto esperto), da lì voleva fare il salto di categoria nei ‘mediomassimi’, per ridurre le maniacali operazioni di mantenimento del peso. Infatti, nella boxe, conservare un determinato peso comporta sessioni di disidratazione, diete stra-controllate e repentini recuperi di chili. Tutto questo, a lungo andare, potrebbe creare problematiche.

Queste, però, non sono le uniche criticità legate alla boxe. Oltre alle 120 morti dal 2000 ad oggi, vanno segnalate anche altre conseguenze, ugualmente gravi come l’encefalopatia traumatica cronica, il Parkinson e l’Alzheimer. A fine carriera, o anche in piena attività, è la testa a presentare il conto più salato dopo anni di traumi. Il lobo frontale, stordito dai colpi, è soggetto alla ‘sindrome del pugile ubriaco’ (perdita della memoria, capacità motorie ridotte, difficoltà a parlare). Campioni come Muhammad Alì ne sono stati l’esempio, come affermò il suo neurochirurgo: “Quest’uomo ha preso migliaia di pugni alla testa. Alcune parti del cervello sono morte”. Intendiamoci, anche atri sport rischiosi possono causare queste problematiche, come arti marziali, hockey, rugby o football americano, però nella boxe, nonostante i passi in avanti della tecnologia, a livello di conseguenze fisiche si è rimasti sempre allo stesso punto. Anzi, forse si sono fatti dei passi indietro. Perché non rendere obbligatorio il ‘caschetto’ anche nei professionisti? Perché non ridurre ulteriormente i round o i 10 secondo prima del K.O? Sono un tempo interminabile per chi, in quegli istanti, ha subito un grave trauma alla testa.

NO COMMENTS

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Exit mobile version