Gli atleti cambiano sport più spesso di quanto si immagini. Semplice rimanere tutta la vita legati alla stessa disciplina! La vera sfida consiste nel trasformare l’approccio al gioco. E sollecitare gruppi muscolari diversi. Cambiare fa sempre bene: vediamo chi c’è riuscito.
Dalla “faida” sul campo alla lotta sul ring
A volte il “salto” avviene verso uno sport simile a quello d’origine. Altre volte verso un’attività totalmente diversa. È questo il caso di Shaquille O’Neal. Il campione di basket ha militato nei Los Angeles Lakers dal 1996 al 2004. E, nella stessa squadra, è stato protagonista della “faida” contro Kobe Bryant. Ma i suoi ammiratori avevano colto l’amore per la disputa già nel 2009. Infatti, “The Diesel” appare in una puntata di Raw, lo show televisivo di wrestling. Facendo capolino in una puntata in qualità di general manager.
Nel 2011 O’Neal abbandona la palla a spicchi e si dà alla conduzione televisiva. Ma la sua carriera sportiva non è finita. Il 3 aprile 2016, infatti, sorprende tutti partecipando alla 32° edizione di WrestleMania. Uscendone con un risultato amaro. Infatti, viene fatto fuori da un attacco combinato degli avversari. È rimasta solo una voce, tra l’altro, la sua partecipazione all’edizione successiva del campionato.
Gli atleti che cambiano sport per una “toccata e fuga”
Nelle file degli atleti che cambiano sport è arrivato anche Gianmarco Tamberi. La giovane punta del salto in alto, pur non abbandonando la pista, è atterrata nell’amato basket. Per questo motivo nel 2017, forte dell’altezza di 189 cm, ha militato nella Mens Sana Siena. E il 23 settembre dello stesso anno ha debuttato contro The Flexx Pistoia. Ma l’esperienza si è rivelata fugace, perché l’incursione nel professionismo è durata solo una settimana. Nella squadra degli ‘zompatori’ a breve termine anche Paolo Maldini. Stesso anno, stessa toccata e fuga. L’ex difensore del Milan, allora 49enne, ha provato il tennis. “Bella esperienza, ma che non si ripeterà“, sospira dopo la sonora sconfitta 6-1 6-1 subìta nei 42 minuti in coppia con il maestro Stefano Landonio.
Cambiamo scenario. Anche Usain Bolt ha compiuto un’incursione in un altro sport. Il campione giamaicano di atletica leggera, 8 ori ai giochi olimpici e 14 medaglie ai mondiali, ha collezionato anche 3 squadre di calcio. No, non come proprietario, bensì come militante. E tutte e tre nel 2018, dopo il ritiro dalle gare di velocità. L’atleta ha iniziato con il Borussia Dortmund, presenziando tuttavia solo agli allenamenti. La prima partita lo ha visto invece impegnato al fianco dei compagni della norvegese Strømsgodset. Venti minuti, tanto ha giocato nell’amichevole contro la nazionale under19 scandinava. Dopodiché è stata la volta di una partita di beneficienza svolta a Manchester. Un’occasione che ha riempito Bolt di soddisfazione, in quanto ammiratore del Manchester United.
Cambiare disciplina per attaccamento alla vita, il caso Zanardi
Fra i campioni, non c’è solo chi cambia sport per un’avventura temporanea. Pur legittimamente, sembra che nella maggior parte dei casi la trasformazione sia avvenuta per prova o per divertimento. Non è questo il caso di Alex Zanardi che, nel 2007, cambia ufficialmente vita. Pur continuando a pilotare di tanto in tanto. E che, al contrario degli altri, rimane fedele al nuovo sport. È questo l’anno in cui l’ex pilota di Formula 1 gareggia la sua prima gara paraciclistica. Lo fa nell’ambito della maratona di New York, attestandosi al quarto posto.
Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la passione per l’handbike non è nata subito dopo l’incidente del 15 settembre 2001 al Lausitzring. Infatti, il pilota bolognese torna a indossare il casco per alcune iniziative nel 2002 e 2003. E, nel 2005, si aggiudica la vittoria della seconda gara del Gran Premio di Germania. Ottenendo, in questo modo, un posto al Mondiale Turismo. La motivazione va trovata nell’atteggiamento positivo nei confronti delle avversità. “È possibile che il fulmine che m’è arrivato tra capo e collo una volta mi colpisca nuovamente”. Ha dichiarato il campione. “Ma rimanere a casa per evitare e scongiurare quest’ipotesi significherebbe smettere di vivere, quindi no, io la vita me la prendo”. E con questo spirito è più che lecito continuare a correre dietro ai propri obiettivi.