Il 12 marzo 1959 veniva inaugurata l’opera dell’ingegnere Pier Luigi Nervi che con suo figlio Antonio, architetto, ha realizzato lo Stadio Flaminio, importante polo sportivo capitolino che oggi versa in condizioni di totale abbandono. Lo stesso giorno di molti anni dopo, nel 2011, la struttura ospitava l’ultima partita di rugby del Sei Nazioni, torneo che lo teneva ancora in vita. Da quel giorno di dieci anni fa lo stadio Flaminio c’è ma non è più agibile ed è diventato una ferita aperta per i romani.
Stadio Flaminio: un passato di grande gloria
A dieci anni dall’ultimo evento che si è disputato al suo interno, si parla ancora, anzi più che mai, dello stadio Flaminio; opera architettonica capitolina che venne costruita in occasione del torneo Olimpico di calcio del 1960. Dopo 52 anni dalla sua inaugurazione, nel 2011 ha chiuso i battenti. Eppure lo stadio Flaminio è l’oggetto di contesa tra le squadre della capitale, nonché sassolino nella scarpa per molti romani e un altro nodo irrisolto del comune.
Una storia tutta italiana: una struttura unica, frutto della maestria e della voglia di fare degli anni 60. La famiglia Nervi realizza quest’opera come un unico blocco, non vi sono settori divisi ma un’unica tribuna che fa da perimetro al campo. Al suo interno una piscina semi-olimpica, cinque palestre per pugilato, ginnastica e atletica pesante. Una struttura che ha voluto coniugare l’eleganza alla funzionalità, dove l’ospite appaga sia l’occhio che lo spirito partecipativo.
Gli ultimi fasti dello Stadio Falminio
Eppure passarci davanti oggi equivale a vedere un ammasso di ruggine, di erbacce, di degrado. Risulta difficile pensare ai fasti del passato. Tuttavia lo stadio Flaminio appena costruito ospitò il torneo Olimpico di calcio e divenne l’alternativa allo stadio Olimpico per gli incontri calcistici. Negli anni ‘80 ci giocarono molte competizioni della Lodigiani, che all’epoca era la terza squadra della capitale e molte partite di Coppia Italia della Lazio.
Nella stagione ’89-’90 verrà utilizzato congiuntamente da Roma e Lazio durante i lavori di ristrutturazione dell’Olimpico mentre l’ultima competizione dei biancocelesti venne giocata nel 2006. A parte gli eventi calcistici più saltuari, è stato perlopiù destinato, negli ultimi anni di vita al rugby: sede del Sei Nazioni nonché di molte finali di campionato. Nell’annoverare la gloria passata è doveroso ricordare che lo stadio, ubicato nella zona Parioli-Flaminio, ha ospitato artisti come Michael Jackson, gli U2, David Bowie che lo hanno scelto come location per i loro concerti.
Un presente doloroso
Un orgoglio romano, una perla nel cuore di Roma (nord), che rende fieri e allo stesso tempo arrabbiati. Le varie amministrazioni si sono poste l’obiettivo di riqualificarlo per non mandarlo in malora, in modo vano o forse troppo aleatorio, infatti il suo restauro è rimasto solo un sogno. Ovviamente ciò infervora e coinvolge maggiormente gli abitanti dei quartieri Parioli e Flaminio. Qui, al netto di differenze culturali o sociali, si è formato un Comitato Promotore che fa da interlocutore con le istituzioni. Negli anni sono state molte le proposte di riqualifica, a partire dal 2010 Renzo Piano avanzò proposte di rilanciare l’intera area circostante, ma nulla ha mai preso forma. Così, se si procede su Ponte Flaminio venendo da Corso Francia, ci si ritrova a sinistra il moderno e vivissimo Auditorium e sulla destra l’abbandonato e rovinato stadio Flaminio. Una contrapposizione che segna un paradosso, l’ennesimo, della capitale.
Con l’abbandono del progetto dello stadio a Tor di Valle da parte degli americani Dan e Ryan Friedkin, si è subito diffusa l’idea (o la speranza) che la nuova casa dei giallorossi possa essere proprio lo stadio Flaminio. Un sogno per i tifosi, che avrebbero una struttura all’inglese, stile Anfield. Certo i vincoli sono vari: oltre quello architettonico c’è quello archeologico per la presenza di una necropoli interrata di sette metri. Farla venire alla luce sarebbe in realtà un’adeguata valorizzazione della stessa. Una cosa possibile da un punto di vista architettonico, come spiega Mauro Schiavone, l’architetto che nel 2014 ha firmato il piano di fattibilità per la riqualificazione, in un’intervista a Romah24. Una realtà possibile che tuttavia è soltanto una voce di corridoio o un sogno dei tifosi. A confermarlo è Daniele Frongia, Assessore allo Sport di Roma, che interrogato da Atletanews in merito, ha risposto che “al momento non vi è alcuna ipotesi in tal senso”.
Il futuro concreto e green dello Stadio Flaminio
“L’unica proposta nel progetto di riqualificazione ci è arrivata dalla Roma Nuoto. E’ la proposta più corposa. Ora abbiamo 7 mesi per portarla avanti il più possibile. Attualmente il Comune sta lavorando su un progetto dopo un lungo lavoro con l’università Sapienza per la conservazione. Il fine è non stravolgere la struttura anche nel rispetto di vincoli esistenti. Tuttavia si tratta di un bel progetto che coinvolge l’intero Parco del Flaminio” spiega Frongia. Sulla concretezza del progetto l’assessore non perde di realismo: “Parlare di tempistiche ora è irreale. La prima fase è l’analisi a livello urbanistico. In seguito a quest’approfondimento si può parlare di percentuali di concretezza della realizzazione. Sicuramente verrà mantenuto il valore architettonico dell’impianto e la sua vocazione prevalentemente sportiva”.
In cosa consiste concretamente il progetto di riqualificazione? Ristrutturare un patrimonio architettonico di una città come Roma consiste in un lavoro di conservazione che deve essere alla base di qualsiasi opera di restauro. Dunque seguirà una nuova perimetrazione dell’intero Parco Polisportivo e anche una riqualificazione degli spazi sotto tribuna attraverso l’inserimento di attività sportive e commerciali. Si dovrà mettere mano alle aree pedonali all’interno del parco e sarà necessaria la riorganizzazione del sistema parcheggi. Ma non solo. La sua vicinanza a strutture culturali come l’Auditorium e il MAXXI include necessariamente la messa a punto di sinergie e interazioni con gli stessi. In un’ottica assolutamente green che è il leitmotif del progetto: sarà sostenuta la mobilità dolce e la valorizzazione del verde. Ciò è coerente con l’utilizzo di materiali riciclabili, impianti a basso consumo energetico o con energie rinnovabili. Che sia la volta buona?