Sport e hijab: libertà di scelta ?

Ultime notizie

Jannik Sinner: quando essere il migliore non basta

L'altoatesino è il numero 1 del mondo e arriva...

Toprak Razgatlioglu, il dominatore incontrastato

Con 64 punti di vantaggio su Nicolò Bulega, il...

Quello del 2024 è il miglior Bagnaia di sempre?

Velocissimo, vincente e sempre meno incline all'errore, il pilota...

Con Jorge Martin l’Aprilia può sognare

Sfumata nuovamente la possibilità di passare al Ducati Lenovo...

Share

Sport e hijab, sono due parole che ormai da tempo camminano insieme. Se c’è una cosa che amo dello sport, è che rende tutti uguali. Puoi essere bianco, giallo, rosso o nero. Uomo o donna. Cristiano, protestante, musulmano o cattolico. Quando fai sport, sei uno che fa sport. Non vi sono preconcetti o, sarebbe meglio dire, non dovrebbero essercene. Non dovrebbero essere assegnate etichette o dati giudizi a nessuna forma di espressione o scelta. E allora perché le donne che negli ultimi anni, in particolar modo nelle ultime due edizioni olimpiche, hanno indossato l’hijab hanno scritto una pagina importante dello sport mondiale e non solo?

hijab e libertà di scelta
Asma Elbadwai

Cos’è l’hijab e cosa significa

Hijab” in arabo significa letteralmente “rendere invisibile, celare allo sguardo, nascondere, coprire”. Ma quando cerco il significato di una parola, a volte mi affido anche al caro e buon Treccani. Corto velo femminile appartenente alla tradizione islamica, composto di una cuffia che tiene raccolti e fermi i capelli e il velo vero e proprio che viene appoggiato su di essa e di solito viene legato sotto il mento, avvolto intorno al collo o lasciato ricadere liberamente sul corpo”. Il mio amico vocabolario detta così al termine “hijab”. Più semplicemente, dunque, è un velo allacciato sotto la gola utilizzato dalle donne musulmane per coprire il capo e le spalle. E fin qui tutto ok. Se non fosse che tutto ciò, riportato nella vita di tutti i giorni e nello sport, ha sempre creato scompiglio, polemiche, discussioni, ma anche provocato standing ovation, lacrime di commozione e applausi.

Purtroppo il pensiero occidentale ha spesso trattato questo argomento in maniera superficiale. Ed è sempre stato molto facile e comodo pensare semplicemente “ma è solo un velo”, senza mai capire la reale importanza di tutto ciò. Il velo è prima di tutto un “atto di fede”, eppure nella media le persone vedono nella donna con il velo una donna che fatica ad integrarsi. Ci sono donne obbligate a portare il velo dallo Stato, altre dalla famiglia e altre che hanno scelto liberamente di portarlo. Ognuna lo indossa per motivi diversi. E come scrive la giornalista Elena Banfi in un suo articolo su Vanity Fair, “la verità è che non è facile semplificare la storia del velo islamico, né tanto meno etichettarlo, giudicarlo, soprattutto se non si conoscono a fondo le sue origini o i motivi di chi sceglie di indossarlo”.

Atlete e sport
Ibtihaj Muhammad

Sport e hijab: dalla scherma al basket

È proprio vero che a volte esiste un filo conduttore tra sport e cultura. Un filo conduttore molto sottile, fatto di eventi unici ed emozionanti che hanno segnato la storia dello sport, e del mondo. Questo filo lo voglio riavvolgere fino ad arrivare alle Olimpiadi di Rio 2016. Quell’anno l’atleta USA Ibtihaj Muhammad compì qualcosa di grande. “So, let’s tell everybody why you’re making history”, chiese la giornalista Ellen Lee DeGeneres a Ibtihaj durante un’intervista nel suo “The Ellen Show” prima delle olimpiadi di Rio. Dunque, “Dì a tutti, perché stai facendo la storia”. “I’m a fencer and I will this summer be the first Muslim woman to represent team USA while wearing the hijab” rispose l’atleta statunitense, “sono una schermitrice e quest’estate sarò la prima donna musulmana a rappresentare la squadra USA indossando l’hijab”.

Oggi sul profilo Instagram di Ibtihaj Muhammad tra le informazioni principali leggiamo “U.S. Olympian + 1st Muslim female medalist”. Proprio così, perché quell’anno, insieme alle compagne di squadra, vinse una medaglia di bronzo che continua a luccicare d’oro. Con la sua partecipazione alle olimpiadi Ibtihaj dimostrò di avere il coraggio di abbracciare a pieno ciò che per anni, agli occhi degli altri, veniva visto come “diverso”. Lei, la sua divisa da schermitrice e l’hijab hanno anche una Barbie a rappresentarli, e questo sottolinea in maniera ancora più forte quanto il cambiamento culturale in corso sta distruggendo vecchi stereotipi e ritirato giudizi.

Atlete e hijab

Hijab e sport: non solo un velo

Ma se c’è una donna atleta che più di tutte si è battuta per l’utilizzo dell’hijab in competizioni agonistiche (precedentemente vietato da molte federazioni sportive mondiali), è Asma Elbadawi: poetessa sudanese-britannica, attivista, giocatrice di basket e allenatrice. È nota per aver presentato una petizione con la quale è riuscita a convincere la International Basketball Association (FIBA) a rimuovere il divieto di hijab e cappelleria religiosa nello sport professionistico.

I want to show the younger generation that there’s no one ideal of what an athletic woman looks like“. Questo il suo motto e questo ciò che ha spinto e spinge Asma ogni giorno a battagliare contro le Federazioni che ancora oggi vedono l’utilizzo dell’hijab come un impedimento alla pratica sportiva. Eppure non sono remoti gli eventi in cui atlete con indosso l’hijab sono state escluse, o successivamente squalificate, per aver indossato indumenti non a norma.

Atlete e hijab

Atleta indossa l’hijab: viene squalificata

Era ottobre 2019, ed io, come forse molti di voi, ricordo il caso della 16enne Noor Alexandria Abukaram. Noor ama correre e fare sport, nello stato dell’Ohio, con la sua squadra ha preso il via ad una gara campestre. Alexandria ha corso con indosso il suo Hijab firmato Nike, siglando il suo PB (personal Best), eppure, una volta tagliato il traguardo, la ragazza non ha trovato il suo nome nell’elenco dei finishers.

L’atleta sedicenne era stata squalificata perché la sua allenatrice non aveva fatto la richiesta che permetteva a Noor di indossare l’hijab. Il regolamento della Ohio High School Athletic Association, non permetteva l’utilizzo del “velo islamico” in qualità di copricapo. Il caso ha fatto il giro del mondo, e nonostante i numerosi cambiamenti nello sport negli ultimi anni, ciò che è successo a Noor Alexandria Abukaram mette in luce un presente che per molti resta ancora un passo indietro.

libertà di scelta
Noor Alexandria Abukaram

Chi produce e vende l’hijab

Le Federazioni che fino a ieri vietavano l’utilizzo dell’hijab durante una gara, lo hanno fatto per motivi di sicurezza: l’hijab avrebbe potuto staccarsi, o provocare problemi di traspirabilità non essendo adatti all’attività sportiva. Oggi però esistono aziende che hanno colto l’esigenza di chi non ha mai voluto scegliere tra la fede e lo sport che praticano. Tra queste, troviamo Nike. Non è stata la prima a produrre hijab sportivi, e oggi non è l’unica (ad esempio capsters.com li produce già dal 2001). L’azienda americana ha anche creato l’apposita linea “Nike Pro Hijab”, dedicata appunto a tutte quelle donne che vogliono sentirsi libere di praticare sport rimanendo sempre sé stesse.

L’hijab Nike è realizzato in un tessuto leggero e resistente per una traspirabilità e una morbidezza eccezionali. Il design pull-on e il retro allungato assicurano un fit personalizzato per una copertura sempre perfetta in allenamento o in gara. Oltre alle caratteristiche tecniche, l’hijab firmato Adidas aggiungeTi presentiamo il nuovo Hijab Sport, creato per eliminare le distrazioni, favorire la libertà di movimento e aumentare la fiducia in te stessa”. Dunque Nike prima, nel 2018, e Adidas da poco, ma anche Under Armour e altre ancora, incrementano l’offerta di abbigliamento sportivo per le atlete musulmane. Scelte che muovono forti polemiche e critiche: le aziende sono state accusate di essere disposte a monetizzare sull’oppressione delle donne.

Atlete e hijab

Vendere l’hijab: le polemiche

Adidas si arrende agli islamisti e accetta la sottomissione delle donne commercializzando l’hijab in Francia! Lontano dai valori dello sport!”. Questo quello che la saggista e attivista femminista Lydia Guirous ha pubblicato su Twitter all’annuncio della notizia di Adidas del lancio del nuovo articolo sportivo. Le stesse critiche che già un anno fa erano state mosse anche a Decathlon. L’azienda francese, però, non ha retto e dopo la minaccia del boicottaggio da parte di alcuni politici francesi, ha scelto di non commercializzare più l’hijab Kalenji . Eppure l’obiettivo di Decathlon era quello di rendere lo sport più accessibile a tutti.

Forse lo hanno fatto solo per questioni economiche di mercato, o forse lo hanno fatto per la reale voglia di abbracciare diversità e inclusività. Ad ogni modo, queste aziende hanno dato l’opportunità a giovani atlete, o semplici appassionate, di praticare sport nel rispetto del proprio credo religioso. L’argomento si presta a discussioni più ampie ed approfondimenti ulteriori. Quel che è certo, è che i simboli cambiano, gli stereotipi cadono e finanche le statue possono essere abbattute. In questa ottica, anche l’hijab può cambiare: da simbolo oppressivo a elemento culturale, diventando il veicolo della libertà di culto e della libertà personale delle donne musulmane. Sta a noi decidere come guardarlo.

spot_img