Gli dicevano che non era alto abbastanza o robusto abbastanza, per primeggiare e diventare il miglior velocista del mondo. Doveva mangiare più carne, dicevano. Eppure, ancora oggi, nel mondo dell’atletica e non solo, si parla di lui e di quello che le sue gambe e il suo cuore hanno fatto. Se ce l’ha fatta lui, possiamo farcela tutti, potremmo pensare. Ma i Pietro Mennea sono una rarità, e quel 19”72 sui 200m piani firmato nel 1979 a Città del Messico, è un record europeo ancora da battere.
Pietro Mennea e il suo sogno
Sacrificio, determinazione, tenacia. Si possono racchiudere tutte queste cose in una sola persona? Sì, perché Pietro Mennea era proprio così. Classe 1952, di Barletta, in Puglia e con un fisico non propriamente adatto a chi sognava di diventare il numero 1 mondiale dei 200m. Ma furono i fatti a parlare. Ancora studente, lui e la sua velocità erano già conosciute in tutta Italia. A sfidarlo per mettere alla prova il suo incredibile talento, ci furono anche delle macchine di grossa cilindrata: le persone venivano anche da altre città per batterlo di sera sulla distanza di 50m. Ha affrontato anche una Porsche, ma a vincere, anche qui, era sempre Pietro Mennea.
Pietro, nominato “la Freccia del Sud”, sapeva fin da ragazzino chi voleva essere, e chi voleva diventare. Lui ci credeva sempre, a dispetto di tutto e di tutti. E seppur non avesse peso e altezza adeguati, Mennea aveva fatto una scelta: diventare un campione dell’atletica. “Mi allenavo 5/6 ore al giorno, per 365 giorni l’anno, e questo l’ho fatto per quasi 20 anni, non ho mai saltato un evento importante. Se potessi tornare indietro mi allenerei anche più ore al giorno, perché il lavoro paga, e la superficialità non porta a nulla”. Era questo quello che Pietro rispondeva quando qualcuno gli chiedeva quale fosse il suo segreto.
Da Tommie Smith a Pietro Mennea
Mio padre è uno che ha poca memoria con i numeri, eppure quando gli ho fatto il nome di Pietro Mennea lui mi ha risposto “19”’72 sui 200m, giusto?”. Incredibile, la Freccia del Sud ha fatto il miracolo nella mia famiglia. Perché il velocista di Barletta fino al 1980 ha tenuto incollati alla TV tutti gli italiani, da nord a sud. Ad ogni europeo, ad ogni Olimpiade, l’Italia intera era in trepidazione quando Mennea gareggiava. Era come se tutti fossimo ai blocchi di partenza con lui, con la testa china ad aspettare lo sparo dello starter. Ma in corsia c’era solo Pietro. E non deludeva mai.
Quel famoso primato, è un record nel record. Pietro Mennea ha partecipato a cinque Olimpiadi (quattro finali olimpiche consecutive) e a tutt’oggi, nessun altro velocista è stato detentore di un record così duraturo. Il suo record del mondo 19”72 nei 200m piani, conseguito a Città del Messico nel 1979, è rimasto imbattuto per ben 17 anni. E ancora oggi, 42 anni dopo, quel record rimane il primato europeo. Ci sono giovani che tentano di abbattere questo muro per poter siglare un nuovo primato, e forse prima o poi qualcuno ci riuscirà. Per farlo dovranno sfidare solo il tempo e il loro mito, così come lo stesso Menna, alle Universiadi di quel 12 settembre 1979 riuscì a battere, sulla stessa pista, quel 19”83 di colui che più di tutti lo ispirò: Tommie Smith.
Il fallimento e le Olimpiadi di Mosca 1980
Lealtà, spirito di sacrificio, rispetto per l’avversario, questi sono i valori dello sport di cui le olimpiadi sono portatrici. E sono tutti valori che hanno fatto parte anche di Pietro Mennea. Per essere veramente Campioni, quelli in cui la C deve essere maiuscola, bisogna puntare in alto e accettare non solo le vittorie, ma anche le sconfitte. “Il fallimento va considerato come esperienza, perché anche un evento negativo ti permetterà di ripartire e di arrivare più in alto di prima. Il fallimento ci deve essere, perché ti aiuta a crescere come persona. Se io non avessi fallito alle olimpiadi di Montreal del 1976, forse non avrei mai fatto quel record nel 1979 e non avrei mai vinto quella medaglia d’oro olimpica 4 anni dopo”.
“Mennea cerca di recuperare, Mennea cerca di recuperare, recupera, recupera, recupera, recupera, recupera…Ha vinto, ha vinto! Straordinaria impresa di Mennea”, furono queste le parole del telecronista Rai Paolo Rossi che nel 1980 annunciava la vittoria di Pietro Mennea nei 200m alle Olimpiadi di Mosca. Parole piene di emozione e di gioia, che sono diventate poesia pura dell’atletica leggera. A riguardare quelle immagini, c’è ancora chi si chiede “ma come ha fatto?”. Ma è proprio in quegli ultimi 70m che c’è tutto il Pietro Mennea a cui i giovani atleti vogliono e devono ambire. Corsia numero 8 per lui, un po’ scomoda, ma poco importava: Mennea andò a prendersi quella medaglia d’oro tanto sognata e inseguita sfidando sé stesso, il tempo, la natura e la forza di gravità.
“La fatica non è mai sprecata, soffri, ma sogni” (Pietro Mennea)
“Il segreto è lavorare, perseverare e avere tanta forza di volontà, e poi passione, cuore, credere in quello che fai, e avere sempre una voglia matta di migliorare. Chi non ha questa voglia fa poca strada”, dichiarava. Ed è questo quello che ha fatto diventare Pietro Mennea l’uomo dei 19”72 sui 200m e l’uomo d’oro nel 1980. Ma non solo. Perché la fortuna del ragazzo del sud fu anche quella di incrociare nella sua vita Carlo Vittori: colui che divenne il suo storico allenatore e un punto di riferimento fondamentale. Mennea-Vittori, un binomio vincente praticamente perfetto, che fece del centro sportivo di Formia la propria casa, e dell’allenamento il proprio pane quotidiano.
Pietro Mennea era agli antipodi degli atleti che oggi siamo soliti vedere sulle piste dei 100m e 200m. Niente muscoli esplosivi ma una passione che valeva per tutti loro. Un uomo che non ha mai mollato e ceduto a nulla, capace di essere al contempo atleta e accademico. Oltre ai successi nello Sport, nella sua vita ha conseguito 4 lauree ed è stato eurodeputato. Ma più di tutto è stato la Freccia del Sud, che quando saliva sul podio avrebbe voluto portarsi con s’è tutto il meridione che rappresentava e che ancora rappresenta. Sacrificio, dedizione, passione, non serve altro per arrivare dove si vuole. Ma l’importante è non mollare mai: “La fatica non è mai sprecata, soffri, ma sogni. Più i sogni sono grandi, più è grande la fatica”.