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Come sta l’Italbasket? Dall’europeo del 1999 pochi titoli ma un movimento in crescita

Parigi. Nel 1999, ben 21 anni fa, la nazionale italiana vinceva il Campionato Europeo maschile di basket. Il team era composto da cestisti del calibro di Carlton Myers, Andrea Meneghin e Gianluca Basile. Con loro anche l’atleta ambidestro Gregor Fučka, votato come miglior giocatore della competizione. Seguiamo il lancio dell’Italbasket dal 1999 sino ad oggi, intercettiamo il rapporto di amore-odio con la NBA ed esploriamo i pionieristici eSports.

La partita del secolo dell’Italbasket

Mancavano solo cinque mesi al nuovo millennio. Quell’anno Ciampi saliva al Quirinale e Anna Oxa vinceva Sanremo con Senza pietà. Oltreoceano spopolava il film Matrix e Roberto Benigni faceva man bassa di Oscar con La vita è bella. Questa la cornice in cui si muovono i cestisti italiani volando verso il 31° Campionato Europeo di basket del 1999. Li accompagna l’allenatore italo-montenegrino Bogdan Tanjevic. Parigi è l’occasione per spolverare il medagliere in cui luccica l’Argento del 1997 e, polveroso, l’Oro di Nantes del 1983. Nonostante questa spada di Damocle, la Nazionale vince contro Russia (102-79) Jugoslavia (71-62) e Spagna (64-56). La finale fu per l’Italbasket, come “la partita del secolo” fu per il calcio. Il team tornerà in Italia portandosi sotto braccio non solo l’EuroBasket 1999, ma anche la qualificazione per i Giochi Olimpici di Sydney 2000.

Da allora la Nazionale ha visto il podio solo un’altra volta. Si tratta di un bronzo ottenuto, al grido di “We Are Basketball”, in occasione delle Olimpiadi di Atene 2004. Nonostante il susseguirsi di ben tre coach – Recalcati (2001-2009), Pianigiani (2010-2015) e Messina “bis” (2015-2017) – dal 2005 le vittorie lasciano il posto ad anni di mancate qualificazioni. Basti pensare che ai Mondiali del 2019 ci si ferma al 10° posto. Al contrario, singoli atleti come Bargnani, Belinelli e Gallinari si aprono all’internalizzazione dell’NBA in modo più duraturo.

Andrea Bargnani all’NBA

NBA, un basket lontanissimo dall’Europa

Nello stesso 1999, dall’altra parte dell’oceano, l’NBA piange il ritiro di Michael Jordan. Un rapporto di amore-odio, quello fra la National Basketball Association e il campionato europeo di pallacanestro. In una prima fase, la rassegna americana ha riservato fortune agrodolci ai nostri atleti. Infatti, almeno all’inizio, non è mai stata data loro l’opportunità di essere competitivi. Trasformando quello che doveva essere un salto di qualità in un periodo di stallo. Nel 1970 gli Atlanta Hawks “draftavano” dal Varese l’atleta Dino Meneghin, il primo italiano ad aver attraversato l’Atlantico. Ma, indicato come 182ª scelta, non ebbe mai l’occasione di calpestare il parquet a stelle e strisce. Come lui, furono messi in stand-by anche Augusto Binelli (40ª scelta) e Alessandro Gentile (53ª). Si intravede il primo spiraglio con Stefano Rusconi, il primo atleta cui l’NBA ha concesso davvero di giocare. Ma solo per 30 minuti.

Assieme al nuovo millennio, per fortuna, arrivano anche le soddisfazioni. Andrea Bargnani diventa il primo cestista europeo ad essere chiamato al Draft NBA come 1ª scelta assoluta. Dopo di lui i già citati Marco Belinelli e Danilo Gallinari spianano la Route 66 a Gigi Datome e Nicolò Melli. Ma a quali regole? Come risposta si può dire che l’NBA sia un campionato sui generis. A titolo d’esempio, i 30 team partecipanti – le cosiddette “franchigie” – non sono coinvolti in alcuna retrocessione o promozione. Anche gli atleti percorrono un cursus honorum particolare. Se in Europa i settori giovanili fanno a gara per accoglierli sin da piccoli, negli USA restano legati a doppio filo alle high schools e ai college. Una volta terminati gli studi, possono ambire al professionismo solamente iscrivendosi ai Draft. Ma, alla fine, un punto di contatto fra statunitensi e Italbasket si trova. È il periodo di svolgimento del campionato – da ottobre a giugno.

‘O sole mio (a spicchi)

L’origine della nostra pallacanestro è davvero curiosa. La sua “importazione” avvenne nel 1907 grazie a Ida Nomi. Membro della Commissione Tecnica femminile di Federginnastica, l’allenatrice ebbe l’idea di tradurre in italiano le regole del basket. Di conseguenza, riuscì a formare la prima squadra della “palla al cerchio”. Ad oggi, per motivi di struttura fisica, la circonferenza e il diametro della palla a spicchi nel gioco maschile sono maggiori che in quello femminile. La Serie A maschile, che dal 2016 al 2019 ha portato sulle spalle lo sponsor “PosteMobile”, coinvolge 17 squadre. Fondata nel 1920, l’ultima edizione della Lega Basket Serie A ha visto trionfare Reyer Venezia, mentre il record di vittorie (ben 28 su un totale di 98 edizioni) spetta all’Olimpia Milano. Le squadre che hanno partecipato a un maggior numero di campionati di Serie A provengono da Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna.

Ma non di soli italiani si nutre il nostro basket. Nel tempo l’Italbasket ha accolto numerosi atleti stranieri nel suo campionato. Fra i tanti ricordiamo Mike D’Antoni che, alla fine degli Anni ’70, approdò all’Olimpia Milano e le fu imprescindibile per 13 stagioni. Soprannominato “Arsenio Lupin” per la capacità di soffiare la palla agli avversari, venne eletto miglior playmaker di tutto il campionato italiano e si ritirò nel 1990. Nonostante l’attrattiva esercitata dalle squadre italiane, oggi il flusso di atleti stranieri si dirige verso l’NBA che, finalmente, ha abbassato il ponte levatoio. Negli ultimi anni si registra anche il trend degli eSports. Basti ricordare che la NBA 2k League, lega ufficiale virtuale del campionato americano, è apparsa solo due anni fa. In Italia è l’Orlandina Basket a svolgere il ruolo di apripista, raggiungendo un accordo con Pro2Be Esports. Quale sarà il prossimo passo? Una Italbasket virtuale. Il 2020, infatti ha segnato l’esordio e la vittoria della nostra e-Nazionale ai FIBA Esport Open 2020.

Da sinistra: Roberto Premier, Mike D’Antoni e Bob McAdoo, cestisti dell’Olimpia Milano, a La Domenica Sportiva con una giovane Maria Teresa Ruta.

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