Non c’è atleta professionista o no, che non abbia affrontato un infortunio. Dalla semplice contusione alla lesione più grave: “rompersi” è un rischio del mestiere. I tempi di recupero, in tutti gli sport, si sono accorciati notevolmente. Quello che non è ancora cambiata del tutto, però, è la psiche degli atleti. Per questo gli psicologi sportivi sono sempre più presenti nei team sanitari delle società. Molti atleti si rivolgono a questi professionisti per affrontare le singole gare o gestire la tensione. In che consiste il lavoro di un psicologo sportivo che vuole rimettere in campo un atleta infortunato?
Quello che una lastra non vede
Fino a non troppi anni fa, un crociato rotto era sufficiente a interrompere la carriera di un atleta. Oggi molti atleti riescono a tornare all’attività dopo (quasi) qualsiasi infortunio. I tempi di recupero si sono accorciati notevolmente e le tecniche riabilitative permettono a un atleta di perdere meno tempo lontano dal campo. Nonostante questi siano degli indiscussi progressi nel campo medico, non è detto che la volontà dell’atleta riesca a seguire la bravura del chirurgo. Lo psicologo sportivo ha il compito di guidare l’atleta attraverso il percorso riabilitativo.
“Un infortunio può essere un momento molto delicato nella vita di un atleta. Allo shock iniziale e al dolore, si aggiungono molte altre emozioni. Alcune affiorano negli attimi immediatamente seguenti, altre emergono dopo.” Emiliano Bernardi, psicologo e psicoterapeuta specializzato in psicologia dello sport, ci aiuta a entrare nella mente di un atleta infortunato. “Paura, rabbia e smarrimento sono le emozioni più comuni nella fase post-infortunio. La vita dell’atleta è composta da una routine che viene bruscamente interrotta. Il rischio, nella fase riabilitativa, è la perdita d’identità: l’atleta si convince di non essere più tale e che non tornerà a competere.”
L’obiettivo di tutti: tornare dall’infortunio
Un atleta professionista può sentire anche il dovere di recuperare dall’infortunio. La stessa volontà, però può riguardare anche un amatore. “Tornare alla prontezza fisica e psicologica – ci dice ancora il prof. Bernardi, docente dell’università San Raffaele – è l’obiettivo dell’atleta e del team medico.” Il recupero post-infortunio è un lavoro di team, in cui l’atleta è al centro e parte integrante del lavoro. Senza la sua volontà di tornare in gioco, però, non si va lontano: “la motivazione intrinseca dell’atleta è la parte che riguarda più da vicino il lavoro dello psicologo.”
“È importante – prosegue Bernardi – che lo sportivo rimanga aderente al programma riabilitativo. Ciò vuol dire fare gli esercizi, porsi degli obiettivi, rimanere concentrato.” L’interruzione della routine atletica forzata dall’infortunio, è la fonte di maggiore stress per un’atleta. “Per questo lavoriamo sugli obiettivi a breve, medio e lungo termine: l’atleta deve sentirsi al centro di un percorso che lo porterà al pieno recupero e al rientro.” Accanto agli obiettivi, lo psicologo sportivo applica anche altre tecniche per aiutare l’atleta. “Tecniche di rilassamento, allenamento ideo-motorio, gestione di stress ed emozioni forti: sono tecniche che si studiano e si applicano in psicologia da decenni.”
Recupero dall’infortunio: un lavoro d’equipe
Poniamo che l’atleta infortunato si sottoponga a un’intervento col miglior chirurgo sulla piazza. L’intervento va liscio e seguono poche settimane di riabilitazione, dopo le quali, fisicamente l’atleta è pienamente sano. “Nonostante l’avvenuto recupero sul piano fisico – precisa lo psicologo sportivo – una percentuale alta di atleti (30%-60%) non è in grado di riprendere l’attività con le stesse prestazioni pre-infortunio.” Questo può dipendere sia da fattori fisici, come la gravità della lesione, sia psicologici: “la paura di una ricaduta è predominante negli atleti. Spesso, un recupero fisico in tempi brevi, non corrisponde a l’opportuno recupero psicologico.”
Ascoltare l’atleta è quindi imprescindibile. Diventa ancora più importante però, anche il dialogo tra i diversi componenti dell’equipe di recupero. “Va considerato anche il ruolo dell’allenatore. Questo non sempre ha tutti gli strumenti per determinare se un atleta sia pienamente pronto al rientro. Il lavoro dello psicologo consiste anche nel facilitare la comunicazione interna, permettendo ad allenatori, fisioterapisti, medici e psicologi stessi di confrontarsi.” Tempo e dialogo sono quindi fattori importanti, che (purtroppo) spesso non coincidono con i ritmi dello sport d’alto livello. Dovremmo ricordarci che gli atleti sono donne e uomini, non macchine. Per quanto spesso possa sembrare il contrario.