Il prossimo Mondiale è già uno dei più controversi nella storia del calcio. Il brand, sponsor tecnico della Danimarca, ha ancor di più enfatizzato le terribili condizioni dei lavoratori occupati fino ad oggi nella costruzione di stadi e infrastrutture
La protesta di Danimarca e Hummel contro il Mondiale in Qatar
Manca ormai sempre meno all’inizio del Mondiale in Qatar. Un evento, quello in programma tra novembre e dicembre, che ha suscitato molte polemiche, dall’assegnazione fino al periodo di svolgimento. Nell’ultima settimana però Hummel, sponsor tecnico della Danimarca, ha evidenziato un altro “difetto”, se così si può chiamare, dell’attesissimo torneo. Durante la pausa nazionali appena conclusa, l’ultima prima dell’inizio del torneo, tutte le nazionali partecipanti hanno sfoggiato il nuovo look fatto ad hoc per la competizione qatariota. C’è chi come Adidas ha puntato su un effetto retrò. Chi invece come Nike, ha puntato su uno stile fresco e futuristico (vedi la divisa della Corea del Sud). Poi c’è il brand danese nato nel 1923, che invece ha scelto una linea diversa da tutti i competitor, quella della protesta.
La scritta Hummel sulla divisa avrà infatti lo stesso colore della maglia da gioco, facendolo risultare appena visibile: “Volevamo lanciare un duplice messaggio. Le maglie non si ispirano solo a Euro 92, il più grande successo calcistico della Danimarca, ma anche a una protesta contro il Qatar e il mancato rispetto dei diritti umani”. Questo il messaggio lanciato dal brand tramite i propri canali social. L’organizzazione del torneo ha portato con sé violazione dei diritti umani oltre alle condizioni di lavoro inaccettabili a cui sono stati sottoposti gli operai impegnati nella costruzione degli stadi. L’intenzione della Danimarca è chiaramente quella di non far cadere nel dimenticatoio tutto questo.
La terza maglia della Danimarca
La protesta del marchio danese non si è però fermata alla presentazione delle prime due maglie, ma è proseguita anche nella scelta della terza: “Crediamo che lo sport debba unire le persone. E quando non succede, vogliamo fare una dichiarazione”. L’ultima divisa di Eriksen e compagni infatti sarà “total black”. Un colore scelto non a caso ma al quale la stessa Hummel ha voluto dare una spiegazione chiara e netta: “Il colore del lutto. Sosteniamo la nazionale danese fino in fondo, ma questo non va confuso con il sostegno al torneo. Desideriamo fare una dichiarazione sui diritti umani del Qatar e sul trattamento dei lavoratori migranti che hanno costruito gli stadi della Coppa del Mondo”.
Ennesima dimostrazione di solidarietà da parte della Danimarca. Gli scandinavi, dopo la fantastica gestione del “caso Eriksen”, tra l’altro tornato quello dei giorni migliori, si dimostra ancora una volta una delle squadre più attente a tutto ciò che circonda il prato di gioco.
I Mondiali della vergogna
Che i Mondiali siano da sempre una competizione tanto affascinante quanto perversa, non lo scopriamo di certo oggi. Dai trionfi Azzurri sotto Mussolini, al Mondiale “Desaparecido” in Argentina. La storia della competizione è sempre stata travagliata, capace di unire la bellezza e l’inadeguatezza dei Paesi ospitanti. Nei giorni scorsi Amnesty International e Human Rights Watch, hanno provato ad inchiodare la Fifa e gli sponsor alle loro responsabilità. Le due organizzazioni a difesa dei diritti umani hanno lanciato un sondaggio. Gran parte delle persone interpellate, si sono detti favorevoli all’istituzione di un fondo per ripagare i migliaia di lavoratori morti o infortunati sul lavoro. Per il The Guardian sono più di 6500 per il momento le vittime, tutte provenienti da Paesi diversi dal Qatar.
Queste stime non tengono però in considerazioni gli infortuni o i lavoratori ammalati a causa delle pessime condizioni igieniche. Infatti il Qatar, non ha ancora abolito il cosiddetto kafala. Un sistema che permette ai datori di lavoro di esercitare un potere quasi assoluto sui dipendenti (dalle ore di lavoro, alla sicurezza e la salute), lasciandoli come immaginabile in condizioni di semi schiavitù. Il governo qatariota ha messo in atto delle riforme per la risoluzione di tali problematiche. Il risultato però è lontano da quello sperato. Tutela per chi lavora dentro gli stadi, ma stessa identica situazione per chi invece si occupa di quello che accade fuori (infrastrutture, strade).