Tra accuse, mezze verità, conferme e retromarce, le dichiarazioni di Maehle, ex terzino atalantino, hanno alzato un polverone attorno alla figura di Gasperini. “Una gestione basata sulla paura. Non c’era libertà”. Parole pesanti che raccontano quel lato del calcio dove non è tutto rose e fiori. Meglio un allenatore severo e duro o comprensivo e paterno? I calciatori rendono di più con metodi rigidi?
Gasperini severo ma giusto o Maehle ha ragione? Ilicic e Gomez ne sanno qualcosa
“Lui decideva tutto. Una gestione basata sulla paura. Non c’era libertà. È stata dura”. Non è la sceneggiatura di un film sulla schiavitù del 1500, ma sono le parole usate da Joakim Maehle per descrivere la sua esperienza all’Atalanta ed in particolare l’ex mister Gasperini. Da qualche mese al Wolfsburg, il terzino danese ha scelto di raccontare gli anni bergamaschi. Non ha speso parole al miele per il vecchio allenatore. “Una sorta di dittatore. Mi sentivo un numero”. Affermazioni forti, confermate via social anche dal collega Demiral, alle quali se andiamo a ritroso andrebbero aggiunte anche velenose frecciate uscite dalle bocche di ex compagni come Gollini e Castagne. Tre indizi fanno una prova verrebbe da dire. Qualcosa di vero forse sotto c’è, ma nessuno può dirlo con certezza. Analizzando la questione con occhi critici e vestendoci da ‘giudici super partes’, senza pendere dall’una o dall’altra fazione, è indubbio come Gasperini abbia molti detrattori.
Come è apprezzato per il gioco spumeggiante e l’innata capacità di raggiungere ottimi risultati con risorse minime, così è criticato per metodi militareschi, maniacali ed estremi. Che sia antipatico o poco incline a confidenze è soggettivo, ma di sicuro è quasi sempre insoddisfatto. La tensione del corpo, il continuo ribadire che le cose andavano fatte meglio, conferma il suo perenne sentimento di non aver ottenuto quello che meritava. Questo lato del carattere e l’atteggiamento in perenne ricerca del perfetto, ricadono sui calciatori. La maniacalità nel curare dettagli e variabili invade ogni latitudine della vita professionale dei giocatori, dai moduli studiati come un dogma al controllo di abitudini extra campo. Dalle dichiarazioni, traspare come Maehle abbia concluso l’esperienza atalantina soffrendo il duro patriarcato di Gasperini. Chi ha urtato fortemente con gli spigoli dell’allenatore di Gugliasco è anche il Papu Gomez, arrivato al face-to-face prima di scappare e sulla fragilità mentale di Ilicic, forse, ha inciso l’estremismo del Gasp. Un allenatore che definire severo è riduttivo, però, finché garantisce risultati e guadagni alla società, per tifosi e dirigenti ha ragione lui.
Da Sacchi a Conte: allenatore dittatore o padre amorevole?
Se sia più corretto allenare vestendo i panni del Sergente Hartman o con le docili sembianze di una balia, è impossibile dirlo. Certo è che alcuni calciatori rendono meglio se spronati con durezza, mentre altri hanno bisogno di dialogo e comprensione. Prendiamo ad esempio uno come Sacchi, capace di rivoluzionare il modo di intendere il calcio grazie alle sue idee. L’ex allenatore di Milan e Nazionale, per far rendere al meglio le sue squadre e raggiungere risultati enormi, aveva bisogno di spremere i calciatori fino al midollo, inculcando nel loro profondo ogni minimo dettaglio, movimento, modulo o tattica. Tutti dovevano muoversi e pensare come un corpo unico e questo status si poteva raggiungere solamente attraverso una preparazione talmente approfondita che rasentava la follia calcistica. I più adatti a metabolizzare questi ritmi andavano avanti, gli altri invece restavano dietro come rincalzi. Dopo anni di maniacalità e ordini militareschi, la tenuta mentale può venir meno e questo è proprio quello che è successo agli uomini di Sacchi.
Crollati sul più bello e dati per bolliti, non avevano altro che bisogno di un ‘regeneration process’, garantito dai metodi più misurati e meno estremi di Capello. Da lì in poi, quel Milan tornò a vincere tutto. Per certi versi, simile la gestione Conte alla Juve. Rosa tirata a lucido in ogni reparto, con giocatori capaci di rendere ben sopra le loro potenzialità. Metodi severi e ritmi così forsennati, tuttavia, non si possono reggere tanto a lungo, perciò decisiva è stata la gestione ‘diplomatica’ di Max Allegri, capace di allungare il ciclo di vittorie juventine per altri 5 anni. Se il pendolo ondeggi più verso la figura dell’allenatore comandante o in direzione del mister amico e confidente non lo sappiamo, ma è appurato che calciatori come Maehle si trovino più a proprio agio con figure comprensive e meno autoritarie. Per altri, invece, l’opposto. ‘In medias stat virtus’, dicevano i latini, quindi nel mezzo sta la perfezione e se dobbiamo citare un allenatore che meglio ha conciliato queste due nature, il primo che ci viene in mente è il solito Ancelotti.