ATP Rankings: ha senso continuare con queste regole?

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Per motivi diversi Djokovic e Nadal non hanno partecipato al Masters 1000 di Indian Wells. Tsitsipas, al contrario, ha preso parte all’evento nonostante una condizione fisica non perfetta, per evitare una “penalizzazione” in classifica. Ha senso questo sistema?

ATP Rankings

ATP Rankings, un sistema che ha più di vent’anni. Forse troppi

Le classifiche mondiali del tennis maschile sono state introdotte ufficialmente nel mese di agosto del 1973. L’ATP decise di creare un sistema computerizzato che potesse stabilire in maniera oggettiva il valore di un giocatore sulla base dei risultati ottenuti nelle ultime cinquantadue settimane di attività. Da quel momento in avanti, la possibilità di un giocatore di accedere o meno a un determinato torneo si sarebbe basata proprio sulla sua posizione in classifica e su quella degli altri iscritti allo stesso evento. Questo sistema prese la denominazione di ATP Rankings. Il nome, nel corso del tempo, è rimasto sempre lo stesso. Ma di modifiche ne sono state fatte tante, almeno in un primo periodo.

L’attuale sistema, che si basa sui migliori diciannove (in origine erano diciotto) risultati ottenuti da ciascun giocatore nelle ultime cinquantadue settimane, è stato introdotto nel 2000. Secondo le nuove regole, ci sono dodici tornei obbligatori – ossia i quattro Slam e otto dei nove Masters Series (Masters 1000 dal 2009) con l’esclusione di Monte-Carlo – i cui punteggi devono necessariamente rientrare nel totale dei diciannove eventi (con la possibilità, da quest’anno, di effettuare alcune sostituzioni). I migliori sette risultati ottenuti nei restanti tornei si aggiungono al totale dei punti. Se un giocatore si qualifica per le ATP Finals, questo torneo permette di avere un punteggio extra (quindi i riusltati presi in considerazione diventano venti). Il problema risiede nel fatto che nel caso in cui un tennista decidesse di saltare uno dei dodici eventi obbligatori, non avrebbe la possibilità di rimpiazzare quel risultato con un altro ottenuto in un torneo non obbligatorio.

Perché il sistema non funziona. Il “caso” Tsitsipas

In un tennis in cui l’impegno fisico (e mentale) richiesto per poter competere ad alti livelli è sempre maggiore, questo sistema non funziona. Gli infortuni sono sempre più frequenti, e dover giocare obbligatoriamente quei dodici tornei “mandatory” crea la necessità, in alcuni casi, di dover andare in campo senza essere al 100% della condizione. E’ successo a Stefanos Tsitsipas nel primo Masters 1000 della stagione, a Indian Wells. Il tennista greco aveva dichiarato di non aver risolto alcuni problemi alla spalla che lo avevano già costretto a saltare il torneo di Acapulco. Nonostante fosse sicuro di non poter andare molto avanti in California si era comunque iscritto al torneo. E, secondo le regole attuali, ha semplicemente fatto il suo dovere. Tsitsipas avrebbe poi perso al primo turno contro Jordan Thompson, numero 87 ATP. Difficile pensare che sarebbe successo senza il problema alla spalla.

Il paradosso è che, per esempio, Rafael Nadal (assente “giustificato”), potrà sostituire il risultato di Indian Wells con quello di un torneo non obbligatorio. Tsitsipas è invece stato costretto a giocare, perché non aveva un vero e proprio infortunio. In caso di mancata iscrizione, si sarebbe trovato ad avere uno “zero” un classifica, e a non poter rimpiazzare quel risultato. Da quest’anno, infatti, l’ATP consente di sostituire fino a tre risultati ottenuti negli eventi mandatory con altrettanti piazzamenti ottenuti in altri tornei, ma solo se l’evento obbligatorio il cui punteggio viene sostituito è stato precedentemente giocato. Un sistema che rischia di aumentare il numero di infortuni e di impedire ai giocatori di seconda fascia di accedere ai grandi tornei, perché alcuni posti in tabellone sono occupati da top player in condizioni fisiche non perfette. A cui però conviene inscriversi al torneo, seppur perdendo al primo turno.

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