I ragazzetti azzurri, per il terzo mondiale consecutivo, sono in semifinale. Risultato da far invidia alla Nazionale maggiore. In un calcio italiano additato come decadente, da rifondare e senza ricambio generazionale, l’Italia Under 20 ha dimostrato che non è tutto da buttare. Messi in riga colossi come Brasile e Inghilterra. Scusate se è poco. I giovani talentuosi ci sono, basta dar loro una chance.
I millennials d’oro dell’Italia Under 20. Fateli giocare, non chiedono altro
Dopo la ‘fatal Macedonia’ e la mancata qualificazione all’ennesimo Mondiale, critiche ‘ciclopiche’ sono cadute sulla Nazionale. Detrattori, addetti ai lavori e tifosi, comprensibilmente, hanno sparato a zero. Il ricordo dell’Europeo targato 2021, considerato un miracolo estemporaneo, non ha risparmiato il nostro calcio da quel feroce epiteto: “E’ finito”. Rivoluzionare i campionati, spazio agli italiani, meno stranieri in squadra e tanti altri pomposi annunci sono stati fatti negli ultimi anni, ma niente di concreto. In questa atmosfera di decadenza e disfattismo, però, c’è una realtà che grida con voce giovanile: “Non è tutto da buttare. Un futuro per il calcio italiano c’è eccome”. A tenere viva la rinascita del pallone nostrano, è l’Italia Under 20, che al Campionato del mondo in Argentina, sta sorprendendo tutti. La selezione dei ragazzetti millennials, guidata dal CT Nunziata, ha messo a referto prestazioni da urlo, guadagnandosi, per la terza volta consecutiva, la semifinale. Gioco spumeggiante, fatto di pressing aggressivo, riconquista della palla, passaggi di prima e verticalizzazioni puntuali grazie ai suoi uomini più tecnici.
L’Under 20 azzurra ha dato prova di come il ‘Bel Paese’ sia ancora in grado di sfornare talenti. Gente come Casadei, Baldanzi, Esposito e compagni sono i testimonial di un movimento calcistico tutt’altro che in caduta libera. Nonostante Nazionali più attrezzate, capaci di schierare giocatori che militano in pianta stabile nelle categorie maggiori, la rosa italiana ha mostrato di essere allo stesso livello dei migliori. Le prestigiose vittorie contro Inghilterra, Brasile e Colombia non sono figlie di episodi fortunosi, ma viaggiano su quel binario di crescita e progettualità che l’Under 20 sta percorrendo da tempo. Nelle ultime 3 edizione del mondiale (2017, 2019 e 2023) la ‘Giovane Italia’ è stata l’unica squadra a raggiungere sempre la semifinale. Questo Vorrà dire qualcosa, o no? Come ribadiva il Mancio: “Abbiamo giovani talentuosi, ma hanno bisogno di giocare”. La chiave della questione sta tutta qui. Ben vengano Serie B, C e campionati primavera per farli crescere, ma per competere ad alti livelli, serva giocare ad alti livelli.
La finta gioventù d’Italia. Troppa paura di sbagliare?
C’è stata un’inversione di tendenza nell’ultimo periodo? ‘Ni’, diciamo in parte. Tolti i club di medio bassa classifica, che, da sempre, danno spazio ai giovani, nella fascia alta, solo Juve e Roma hanno deciso di puntare sui ‘ragazzetti’. Bove, Volpato, Miretti e Fagioli sono gli esempi di questo rinnovato trend, però squadre come Milan, Inter e Lazio, continuano ad andare sull’usato sicuro, rimandando la scelta di rischiare un under20 ad un futuro non precisato. Per intenderci Casadei, alla prima occasione utile, è stato venduto dall’Inter al Chelsea, senza mai esordire in Serie A. Deve ringraziare l’Empoli Tommaso Baldanzi che, grazie al club toscano, ha avuto molto minutaggio nell’ultimo campionato, altrimenti chissà quando ci saremmo accorti di lui. Situazione opposta per il povero Pafundi, incensato dal Mancio e segregato in panchina in quel di Udine, quando invece con gli azzurrini dispensa grandi prestazioni. Fanno da eco colleghi come Prati, Ghilardi, Turicchia o Giovane, che si dividono tra Serie B e C per trovare un po’ di campo.
Eppure, coetanei come Bellingham, Foden o Xavi Simons sono in pianta stabile nelle squadre di vertice dei maggiori campionati. Il problema non sono le ‘cantere italiane’, incapaci di sfornano talenti, ma è la mentalità ad arenare il ricambio generazionale. Nel panorama calcistico nostrano, giocatori come Barella, Tonali, Chiesa o Locatelli, sono ancora considerati ‘giovani’. Questo non è produttivo per un avvicendamento futuro. Quando troveranno spazio under 19, 20, o 21, se gente di 26 anni ha ancora addosso la nomea di giovincello? Il calcio globale va sempre più verso un rapido switch vecchio-nuovo, mentre in Italia la gioventù viene misurata con parametri diversi. I millennials Vinicius e Rodrygo hanno già vinto caterve di trofei, questo perché il Real, con fiducia, li ha aspettati, fatti crescere e sostenuti anche quando le cose non andavano. Oggi, il calcio italiano è soggiogato dalla paura di sbagliare. Ai giovani non vengono concessi errori per imparare, ma al primo passo falso si grida “Scarso”. A volte è necessario sospendere il giudizio, aspettare e dare un’occasione a chi merita, come sta dimostrando l’Italia Under 20.