È il 1° ottobre del 1977, la cornice è quella del Giants Stadium, l’evento è New York Cosmos-Santos, l’ultima partita disputata da Pelé. L’addio al calcio del miglior giocatore della storia.
L’ultima partita di Pelé
Chi lo ha visto, ne custodisce i ricordi gelosamente. Chi non lo ha visto, quasi tutti, ha vissuto per anni in un misto di riluttanza e divinizzazione. Ma la verità è una, e non è quella che cantavano argentini e napoletani. Il miglior giocatore nella storia del calcio è Edson Arantes do Nascimento, al secolo Pelé. Davanti ai 77 mila del Giants Stadium, 45 anni fa il 10 brasiliano dava l’addio al calcio. In campo un’amichevole tra le sue squadre del cuore: il New York Cosmos, la pensione d’oro, e il Santos, l’unico grande amore (tolta la maglia verdeoro). In tribuna alcune delle più influenti personalità del periodo: l’allora presidente degli Stati Uniti, Carter, e Muhammad Ali che non si è limitato a onorare il campione brasiliano con la sua presenza sugli spalti, ma ha pensato bene di scendere in campo in quello che rimane uno degli incroci sportivi più romantici di sempre.
Pelé si divide esattamente a metà: primo tempo con gli americani, secondo tempo con i brasiliani. Il risultato finale è 2-1 per i padroni di casa. Pelé realizza il primo gol americano, quello del pareggio, con una punizione da 30 metri nell’angolino basso alla sinistra del portiere. Al termine del match non era chiaro se si trattasse di una festa, di un funerale, di una cerimonia al Dio laico che fino a quel momento aveva incantato con la palla tra i piedi. A nessuno però importava, perché in un mondo che non paventava ancora l’ipotesi “social media”, si era comunque già capito che la leggenda di Pelé sarebbe stata immortale.
La leggenda e l’eredità
“Dovremmo vivere altri 1000 anni per vedere un altro Pele”. A dir la verità ne sono bastati meno ma il senso della frase è incredibilmente efficace. Lo stesso Maradona che ha rappresentato riscatto sociale in una Buenos Aires e una Napoli in difficoltà, oltre ad una qualità inenarrabile, non è stato uno spartiacque calcistico come lui. Maradona è stato il calcio nella sua più rock e scapigliata inclinazione. Pelé è stato il calcio. Vi siete mai chiesti perché nel “nostro” gioco, la maglia numero 10 ha un significato particolare? È per lui. Che da Bauru ha portato al mondo gioia solo grazie ad un pallone. Se quel numero significa eleganza, estro, imprevedibilità, è solo perché queste erano le sue caratteristiche.
Il trono del miglior marcatore nella storia del Brasile ha ormai trovato il suo erede. Mancano solo 2 gol a Neymar per raggiungere i 77 di Pelé in verdeoro e quasi certamente lo eguaglierà durante i prossimi Mondiali. Alla stella odierna però sono servite circa 30 partite in più ma soprattutto i suoi gol hanno pesato molto meno per le sorti della nazionale. Nei 77 gol di Pelé sono racchiusi tre Mondiali vinti (nessuno come lui). Gol come quello contro la Svezia nella finale del 1958: controllo di petto al volo, sombrero al cattivo difensore scandinavo e destro imparabile per il portiere. Gol come quello di testa contro l’Italia nella finale di Messico ’70 o il millesimo in carriera. Non fatevi ingannare, avrà anche giocato in un calcio diverso, con difese meno attente e preparate, ma Pelé trasportato nel 2022 avrebbe lo stesso identico impatto avuto tra la fine degli anni ‘60 e metà degli anni ‘70.